Per non dimenticare... "Mi rifiuto di scrivere un necrologio per l'uomo" di Hans Sahl
«Ecco uno scrittore da (ri)scoprire, la cui capacità di illuminare il
momento è ineguagliabile.»
Die Zeit
Hans Sahl
Mi rifiuto di scrivere un necrologio per l’uomo
Del Vecchio Editore
Cura e traduzione di Nadia Centorbi
Testo originale a fronte
Collana poesia
ISBN: 978-886-1 10-092-3
Pagine: 272 /brossura
Traduzione: Nadia Centorbi
euro 14,80 / A
L’esperienza dell’esilio e il coraggio della scrittura in uno dei più grandi scrittori del Novecento.
in libreria dal 22 GENNAIO 2014
«Nell’opera di Hans Sahl si può osservare il secolo intero, con
tutti i suoi rivolgimenti e le imponderabili derive.»
Franz Josef Görtz
Quando nel 1942 dà alle stampe il suo primo volume di poesie Le chiare notti. Poesie dalla Francia, Hans Sahl ha quarant’anni. Alle sue spalle l’Europa in fiamme e nove lunghi anni di esilio, trascorsi per lo più a Parigi. Dalla Germania nazista era fuggito, unendosi alla schiera degli emigranti della prima ora, nel marzo 1933, «non solo come ebreo, ma anche come oppositore di Hitler», riparando dapprima a Praga, poi a Zurigo e infine a Parigi fino allo scoppio della guerra. All’invasione della Francia da parte delle truppe tedesche, fu internato nei campi di lavoro francesi, in uno dei quali condivise la drammatica esperienza con Walter Benjamin. Nel 1941 riuscì a fuggire e raggiungere Marsiglia, uno dei pochi porti d’Europa dal quale era ancora possibile salpare in direzione degli Stati Uniti. Approdò a New York e vi si stabilì, per rientrare in Germania definitivamente solo nel 1989. Cinquantasei anni di esilio in cui Sahl svolse prevalentemente il lavoro di corrispondente culturale da New York per diversi giornali e riviste. Si dedicò altrettanto proficuamente all’attività di traduttore, nell’ambigua consapevolezza di avere ormai «siglato un patto con l’estraneità».
Nei versi di Sahl riecheggiano i momenti bui del Ventesimo secolo e la dolorosa esperienza dell’esilio, rielaborati celebrando il coraggio, la tenacia, la forza necessaria all’elaborazione e la potenza della parola poetica.
Dal tempo e dalla sua rima mi sono estraniato,
il tempo la mia rima mi ha rubato.
Dove i mondi crollano e s’annientano popolazioni,
per addensarsi in rima la parola non ha più occasioni.
Mettere in canto l’orrore non è forse azzardato,
strappare a ciò che non ha rima qualcosa di rimato,
per chi ancora le parole possiede nella parola cacciar
di frodo
per illustrare la carie ossea della lingua trovare il modo,
e dove tutte le parole vengono meno,
scandire in sillabe la danza della morte a cuor sereno?
Hans Sahl. Nato nel 1902 in una famiglia di industriali di Dresda di religione ebraica, Sahl fu attivo come critico cinematografico già dal 1920, e tutta la sua vita fu accompagnata dalla scrittura letteraria. Fu anche traduttore di autori di rilievo, come Tennessee Williams, Arthur Miller e Thornton Wilder. Tornato in Germania negli ultimi anni della sua vita, si spense a Tubinga nel 1993. Di Sahl è uscito in Italia: Memorie di un moralista. L’esilio nell’esilio, Sellerio 1995.
Pochi esponenti della letteratura tedesca dell’esilio hanno vissuto l’estraneità con la radicalità di Hans Sahl. A testimoniarlo gli scritti autobiografici, tenacemente intesi a tracciare un’iconografia dell’esilio, ma anche questa intensa e sincera produzione poetica, che evidenzia suoni e vibrazioni di un’esistenza precariamente sospesa tra identità e dispersione. Appena qualche anno prima di rientrare definitivamente in Germania, Sahl scriveva a Joachim Koch, l’editore della rivista «Exil»: «Esilio – non si tratta soltanto di una definizione politico–geografica, non solo di un luogo dell’estraneità, del confino. L’esilio è quasi diventato un moderno stato di coscienza. Ci sono interi popoli che vivono in esilio nel loro stesso Paese, per altri l’esilio diventa una seconda patria». Per Sahl, poeta “dal cuore pieno d’estraneità”, l’esperienza dell’esilio travalica lo spazio circoscritto dell’urgenza storica, estendendosi prospetticamente alla sfera esistenziale e facendosi permanente condition humaine.
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