Pensieri su "LA SALA DA BALLO" di Anna Hope

Inghilterra, 1911. In un manicomio al limitare della brughiera dello Yorkshire, dove uomini e donne vivono separati gli uni dagli altri da alte mura e finestre sbarrate, c’è una sala da ballo grandiosa ed elegante, con tanto di palcoscenico e orchestra. In questo luogo sognante e raffinato, i pazienti si ritrovano una volta alla settimana per danzare: qui hanno la possibilità di sentirsi liberi, di mostrare i sentimenti, di muovere i loro corpi in libertà. I desideri lungamente messi a tacere tornano ad agitare con prepotenza i cuori dei protagonisti. Proprio nella sala da ballo Ella Fay, una giovane operaia ricoverata contro la sua volontà per una crisi isterica, conosce John Mulligan, un uomo dalla sensibilità fuori del comune, che soffre di depressione in seguito a un trauma. Complice del loro incontro è Clem, una paziente affetta da manie suicide, che aiuta Ella a leggere i messaggi di John. A occuparsi di loro c'è il dottor Fuller, un medico ossessionato dall'eugenetica e fermamente convinto che la musica e la danza possano aiutare nella cura delle malattie psichiatriche.
Quattro personaggi che intrecciano le loro storie in un affresco originale e carico di significati profondi: i loro dolori e le loro frustrazioni sono anche i nostri, come pure la danza liberatoria, il coraggio di gridare, la voglia di cambiare.


Autore: Anna Hope
Titolo: La sala da ballo
Editore: Ponte alle Grazie
Genere: Narrativa Storica
Pagine: 395
Uscita: maggio 2017
Prezzo cartaceo: euro 16,80


*****

Elle aveva imparato a fare la brava. Lo aveva imparato fin da piccola.
Fare la brava significava sopravvivere. Significava stare a guardare mentre tua madre veniva picchiata, e non aprire bocca per non essere la prossima. Sentirsi male per la vigliaccheria che ti impediva di reagire. Prendersi le botte dopo che lei se n'era andata, senza mai piangere o lasciare intendere quanto male facevano. Cacciarsi le trecce nel vestito, chiudere il becco e lavorare sodo. Giorno dopo giorno.
Ma fare la brava era solo un'apparenza.
Dentro lei era diversa.
Ma loro non lo avrebbero saputo.


Una volta finito questo libro,è meglio lasciar passare almeno un paio di giorni e far sedimentare emozioni, impressioni, coltellate fredde che sono rimaste dentro.
Non so neppure se poterlo definire un bel libro. Di certo, è scritto benissimo. Di certo, la Hope usa metafore, immagini, piccoli squarci pieni di grazia anche per raccontare il male, lo schifo, la paura.
Di certo, non avevo ancora letto nulla sull'argomento.
Siamo in Inghilterra, verso il 1911, la prima guerra mondiale è ancora abbastanza lontana.
Nella civilissima Inghilterra, faro del mondo, i manicomi sono utilizzati come luoghi di internamento di vari generi di persone: ci sono i "matti", ma ci sono anche coloro che si sono semplicemente macchiati di diversità rispetto alla società comune, quindi i vagabondi, i poveri, le ragazze madri, zingari e irlandesi, operaie che si sono semplicemente ribellate alle dure condizioni di lavoro, depressi o sovversivi in genere.
La cura non è il principale degli obiettivi. Spesso si entra e si muore per un motivo banale, si viene dimenticati e si perde ogni ricordo, oppure si viene aiutati a svanire, ripulendo la società da deviazioni sgradevoli e mele marce. Un ambiente dove anche chi è sano rischia di perdere lentamente il contatto con il mondo di fuori, lasciandosi scivolare in una bolla sospesa, fino all'annullamento.
I personaggi principali sono quattro: tre pazienti e un medico, sostenitore dell'eugenetica e della sterilizzazione forzata (principi che avrebbero trovato radici davvero salde nel secolo che si stava avviando).
Sebbene non sia un romanzo d'amore, anche nel buio e nel marciume l'amore rimane l'unica possibile luce. Una sorta di piantina che cresce dove meno te lo aspetti, fatta solo di sguardi da lontano,tra persone che possono comunicare soltanto attraverso il ballo, una sera alla settimana, o bigliettini nascosti che solo uno può scrivere, mentre l'altra deve farseli leggere.
Eppure questa piantina cresce, nonostante le condizioni siano avverse. Forse è un segno di speranza, forse no. Oltre due decenni dopo, ci saranno delle risposte, ma intanto quattrocento pagine di buio, desolazione, desiderio ti hanno scavato dentro.
Giudizio: di sicuro un libro che ricorderò a lungo, ma non da rileggere a breve.

Le donne, però, lo inquietavano: quelle i cui i volti si profilavano terribili alla luce delle lampade; fragili donne dalle risate sciocche, che si stringevano fra le braccia come bambine; donne che ciarlavano come pappagalli e avevano gli occhi duri e luccicanti di un uccello. Donne con carnagioni giallastre che ti stringevano troppo, il cui fiato era una nube velenosa da cui non vedevi l'ora di sfuggire. Donne taciturne rivestite di uno splendore cereo e verdastro, talmente prese da se stesse da non accorgersi quasi della tua presenza. In mezzo a tutto questo c'era lei - la ragazza in fuga - pallida e guardinga.

Amarilli




2 commenti:

  1. è una bellissima recensione, deve essere uno di quei romanzi da pugno nello stomaco. Anche per me è un argomento poco conosciuto

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