Speciale "LE SPOSE DEI CLAYBORNE" di Julie Garwood - IN ESCLUSIVA UN ESTRATTO DA "UNA ROSA PER DOUGLAS"

Nuove uscite romance per la collana "Follie in Love" della CE Follie Letterarie.
Torna la nostra amatissima Julie Garwood con la serie "Clayborne Brides", "Le Spose dei Clayborne".
NOTA - Si tratta di due storie che possono essere lette separatamente (anche se ovviamente la lettura secondo l'ordine di pubblicazione è auspicabile) e inoltre non è necessario aver letto il volume inedito in Italia "For the Roses".

Per saperne di più sulla serie e i personaggi:  http://www.follieletterarie.com/julie-garwood-e-la-nuova-serie-delle-spose-dei-clayborne/

Come sempre, grazie a Follie Letterarie, il nostro blog vi offre un estratto per farvi incuriosire.
Dopo una SPOSA PER TRAVIS, oggi è la volta di UNA ROSA PER DOUGLAS.

Douglas Clayborne doveva solo ultimare l'acquisto di uno stallone arabo, invece finisce per trovarsi minacciato dal fucile di Isabel Grant, giovane vedova in pericolo. Douglas non è tipo da voltare le spalle a chi è in difficoltà e a Blue Belle nel Montana, tutti lo sanno.
Per questo non esita ad aiutare e proteggere la donna che seppur forte e ostinata, si trova in una condizione di estrema vulnerabilità.
Non sarà facile per Douglas convincerla ad accettare il suo appoggio, e se da una parte egli è in grado di tenere a bada  malviventi e ladri di cavalli, dall'altra non riuscirà a impedire a Isabel di rubargli il cuore.


***

UN ESTRATTO PER VOI

La piccola donna era nei guai. Guai grossi. Nessuno, che fosse maschio o femmina, puntava un fucile contro Douglas Clayborne senza pagarne le conseguenze, e non appena fosse riuscito a toglierle l’arma, glielo avrebbe fatto capire.
Per prima cosa, l'avrebbe persuasa con voce suadente a uscire dal box, alla luce. Avrebbe continuato poi a parlarle finché non fosse stato abbastanza vicino da prenderla di sorpresa. Le avrebbe strappato il fucile dalle mani, poi scaricato e spezzato quella dannata cosa sul ginocchio. A meno che non fosse un Wincherster, in quel caso l’avrebbe tenuto.
Poteva a malapena vederla. Era accovacciata a terra dietro lo sportello, avvolta dalle ombre mentre teneva la canna del fucile appoggiata sull’asse più alta. Una lampada a cherosene era appesa a un palo sul lato opposto del fienile, ma la luce era insufficiente perché Douglas riuscisse a distinguere molto dal punto in cui si trovava, sulla soglia del portone aperto, mentre spostava il peso da un piede all’altro.
Una pioggia fitta e scrosciante gli si abbatteva sulla schiena. Era fradicio, e così Brutus, il suo sauro. Aveva bisogno di dissellarlo e asciugarlo prima possibile, ma quello che voleva fare, e quello che la donna gli avrebbe permesso di fare, erano due cose molto diverse.
Un lampo illuminò l’entrata, seguito dal boato del tuono. Brutus indietreggiò, nitrendo e agitando la testa. Ovviamente il cavallo voleva trovare riparo dalla pioggia quanto lui.
Douglas tenne l’attenzione puntata sul fucile, mentre cercava di calmare l’animale con la promessa sussurrata che tutto si sarebbe risolto presto.
― Siete voi Isabel Grant?
Lei rispose con un gemito basso e gutturale. Pensò che il tono brusco l’avesse spaventata, e fu lì lì per riprovarci con voce più calma, quando la udì ansimare. All’inizio pensò di essersi sbagliato, ma poi quel suono divenne più forte. Stava respirando in modo affannoso, e tutto ciò non aveva alcun senso. La donna non aveva mosso un muscolo da quando era entrato nel fienile quindi non poteva essere a corto di fiato.
Attese che si calmasse prima di parlarle di nuovo. ― Siete la moglie di Parker Grant?
― Io so chi sono. Andatevene o vi sparo. Lasciate la porta aperta dietro di voi. Voglio vedervi andar via a cavallo.
― Signora, ho degli affari con vostro marito. Se gentilmente volete dirmi dove trovarlo, devo parlargli. Non vi ha avvisato che sarei venuto qui? Il mio nome è...
Lo interruppe con un urlo. ― Non mi interessa il vostro nome. Siete uno degli uomini di Boyle, ed è tutto quello che mi serve sapere. Andatevene.
Il panico che le venava la voce lo frustrò. ― Non c’è bisogno di essere sconvolta. Me ne vado. Volete dire a vostro marito che Douglas Clayborne lo aspetta in città con il resto del denaro per lo stallone arabo? Prima, devo vedere l’animale, come d’accordo. Lo ricorderete?
― Vi ha venduto un cavallo?
― Sì. Uno stallone arabo un paio di mesi fa.
― Mentite ― gridò lei. ― Parker non avrebbe mai venduto nessuno dei miei arabi.
Douglas non era dell’umore di litigare con lei. ― Ho i documenti che lo provano. Diteglielo, d'accordo?
― Avete acquistato un cavallo senza averlo mai visto?
― L’ha visto mio fratello ― spiegò lui. ― E il suo giudizio è valido quanto il mio.
Lei scoppiò in lacrime. Douglas fece un passo avanti prima di rendersi conto di aver pensato davvero di consolarla, poi si arrestò bruscamente.
― Mi dispiace veramente che vostro marito non vi abbia detto del cavallo.
― Oh, Dio, ti prego, non ora.
La sentì ricominciare ad ansimare. Cosa diamine aveva che non andava? Capiva che c’era qualcosa di sbagliato, ed ebbe la sensazione che il marito fosse responsabile delle sue lacrime. L’uomo avrebbe dovuto avvisare la moglie del cavallo. E tuttavia, la sua reazione gli parve un tantino esagerata.
Douglas pensò di doverle dire qualcosa, per aiutarla a superare quel momento difficile.
― Sono sicuro che tutte le coppie sposate devono superare qualche problema, di tanto in tanto. Vostro marito avrà avuto un’ottima ragione per vendere lo stallone, forse era molto occupato e si è dimenticato di avvisarvi. Tutto qui.
Il suo respiro si fece ancora più difficoltoso, prima di fermarsi, a quel punto lei gemette di gola. Quel suono gli ricordò un animale ferito. Douglas voleva andarsene ma non poteva lasciarla se si trovava nei guai... e comunque, dove diavolo era il buon vecchio Parker?
― Non dovrebbe succedere ora ― gridò lei.
― Cosa non dovrebbe succedere? ― le chiese.
― Andatevene ― gli urlò.
Ma Douglas era testardo abbastanza da rimanere esattamente dove si trovava. ― Non me ne vado finché non mi dite chi è questo Boyle. Vi ha fatto del male? Sembra che stiate soffrendo molto.
Isabel rispose d’istinto alla preoccupazione che percepì nella sua voce. ― Non lavorate per Boyle?
― No.
― Provatemelo.
― Non posso provarvelo senza mostrarvi la lettera di vostro marito e il documento che ha firmato.
― Rimanete dove siete.
Dato che non si era mosso di un pollice, non riusciva a comprendere quel bisogno di urlargli contro. ― Se volete che vi aiuti, dovrete dirmi cos’è che non va.
― Tutto non va.
― Dovrete essere un po’ più specifica.
― Sta arrivando, ed è troppo presto. Non capite? Devo aver fatto qualcosa di sbagliato. Oh, Dio, ti prego fa che non arrivi adesso.
― Chi sta arrivando? ― le chiese. Si gettò occhiate nervose alle spalle, strizzando gli occhi per vedere nella notte. Pensò che potesse riferirsi a Boyle, chiunque fosse.
Ma si sbagliava.
― Il bambino ― gridò lei. ― Sento un’altra contrazione.
A Douglas sembrò che qualcuno lo avesse colpito con un pugno, e forte, nello stomaco. ― State per avere un bambino? Adesso?
― Sì ― gli rispose con un lungo gemito.
― Signora non fatemi questo ― Non si accorse di quanto stupida fossero quelle parole, finché non glielo fece notare lei, tra i gemiti. Alzò di scatto la testa. ― State avendo una contrazione ora?
― Sì ― rispose lei con un lungo lamento.
― Per amor di Dio, levate il dito dal grilletto e mettete giù il fucile.
Lei non capiva cosa le stesse dicendo. La contrazione aumentava con tale agonizzante intensità che a malapena riusciva a stare in piedi. Strizzò gli occhi e serrò i denti mentre aspettava che il dolore passasse.
Realizzò l’errore quando li riaprì, ma era già troppo tardi. Lo straniero era sparito, sebbene non avesse lasciato il fienile: il suo cavallo era ancora alla porta.
All’improvviso, il fucile le venne tolto dalle mani. Con un grido di terrore, arretrò verso la parete e attese che la attaccasse.
E poi tutto sembrò rallentare. Il cancello si aprì con uno cigolio che le parve un grido infinito. Lo straniero, un uomo muscoloso che pareva riempire tutto lo spazio del box, andò verso di lei. Aveva occhi e capelli scuri e un’espressione arrabbiata… e, oh Dio, non voleva che la uccidesse. Il bambino sarebbe morto con lei. La sua mente semplicemente non ce la faceva più. Prese fiato per urlare, sapendo che una volta iniziato, non sarebbe riuscita a fermarsi. Ti prego, Dio, comprendimi. Non posso farcela. Non posso… non posso…
La riportò alla ragione senza pronunciare una sola parola, semplicemente restituendole il fucile.
― Ora, ascoltatemi ― le ordinò. ― Voglio smettiate di avere il bambino in questo stesso momento. ― Dopo quel commento duro e del tutto irragionevole, si voltò e uscì.
― Ve ne andate?
― No, non me ne vado. Sposto la luce per vedere ciò che faccio. Se siete così vicina a partorire, che ci fate in un fienile? Non dovreste essere a letto?
Lei iniziò di nuovo ad ansimare, un suono che gli procurò una serie di brividi lungo la spina dorsale.
― Vi ho detto di smetterla. Il bambino non può nascere ora, perciò dimenticatevene.
La donna attese che la contrazione finisse prima di dargli dell’idiota.
Douglas ne convenne in silenzio. ― Non voglio che lo facciate nascere finché non trovo vostro marito.
― Non lo faccio apposta.
― Dov’è Parker?
― Se n’è andato.
Gli sfuggì un’imprecazione. ― Me lo sentivo che l’avreste detto. Ha scelto un bel momento per andarsene a zonzo.
― Perché siete arrabbiato con me? Non ho intenzione di spararvi.
Non era arrabbiato; era terrorizzato. Aveva aiutato moltissimi animali a partorire, ma certo nessuna donna e non voleva iniziare con Isabel Grant. Sì, era davvero terrorizzato, ma abbastanza intelligente da non lasciarglielo capire.
― Non sono arrabbiato. Mi avete colto di sorpresa, ecco. Vi aiuterò a tornare a casa e poi andrò a prendere il dottore. ― Pregò Dio che non gli dicesse che in città non c’era un medico.
― Non può venire.
Douglas appese la lampada al palo vicino al box. Si voltò e vide chiaramente Isabel per la prima volta. Era una bella donna, nonostante l’espressione di sofferenza, con una spruzzata di lentiggini sul naso, e lui aveva sempre avuto un debole per le donne con le lentiggini. Gli piacevano da sempre anche i capelli rossi e i suoi erano di una sfumatura scura e vibrante che brillava come fuoco nella notte.
Era sposata, rammentò a se stesso, e non avrebbe dovuto far caso al suo aspetto. Ma i fatti erano fatti e Isabel Grant era indubbiamente bella.
Era anche enorme. Rendersene conto lo aiutò a riprendersi. ― Perché il dottore non può venire?
― Sam Boyle non glielo permetterà. Il dottor Simpson è venuto qui, una volta, quando la gravidanza era troppo avanti perché andassi in città, ma Boyle gli ha detto che lo avrebbe ucciso se fosse tornato. E lo farebbe ― aggiunse in un sussurro. ― È un uomo disgustoso. Possiede la città e i suoi abitanti. Le persone qui sono rispettabili, ma fanno ciò che dice Boyle perché lo temono. Non posso biasimarli, anch’io ho paura di lui.
― Che cos’ha Boyle contro di voi e vostro marito?
― Il suo ranch confina con il nostro e Boyle vuole ingrandirsi per ottenere più pascolo per il suo bestiame. Ha offerto a Parker del denaro, ma era una miseria rispetto a quanto mio marito lo aveva pagato. E comunque non glielo avrebbe venduto per nessuna somma. Questa è casa nostra e il nostro sogno.
― Isabel, dov’è Parker ora? ― Non appena vide le lacrime nei suoi occhi, comprese la risposta. ― È morto, non è vero?
― Sì. È seppellito in cima alla collina dietro il fienile. Qualcuno gli ha sparato alla schiena.
― Boyle?
― Sicuro.
Douglas si appoggiò al palo, incrociò le braccia sul petto e aspettò che si calmasse.
Lei si afflosciò contro il muro, la testa bassa, all’improvviso troppo debole per restare in piedi.
Attese un altro minuto prima di farle un’altra domanda. ― Lo sceriffo ha svolto qualche indagine?
― A Sweet Creek non c’è più uno sceriffo. Boyle deve averlo messo in fuga prima che io e Parker arrivassimo.
― Nessuno vuole l’incarico, suppongo.
― Voi lo vorreste? ― Si asciugò una lacrima dalla guancia e lo guardò. ― Il dottor Simpson mi ha detto che Sweet Creek, un tempo, era una cittadina tranquilla. Lui e sua moglie sono miei amici ― aggiunse. ― Tutti e due cercano di aiutarmi.
― Come?
― Hanno mandato telegrammi e scritto lettere alle altre città vicine per chiedere aiuto. L’ultima volta che ho visto il dottore, mi ha detto di aver sentito parlare di un agente federale nella zona. Credeva che fosse una risposta alle nostre preghiere. Non era stato in grado di contattarlo, ma era certo che sarebbe venuto se avesse saputo la quantità di leggi infrante da Boyle. Cerco di non perdere la speranza ― aggiunse. ― Boyle ha almeno venti uomini al suo servizio e penso ci vorrebbe un esercito di federali per sgominarlo.
― Sono sicuro che c’è un modo per… ― Douglas si fermò a metà della frase, rendendosi conto che erano passati parecchi minuti senza che lei gemesse. ― Il dolore è passato?
Sembrò sorpresa. Toccò con la mano il ventre gonfio e sorrise. ― Sì, se n’è andato, adesso.
Grazie a Dio, pensò. ― Siete completamente sola? Non guardatemi in quel modo, Isabel. Ormai dovreste sapere che non lavoro per Boyle.
Annuì lentamente. ― Ho imparato a non fidarmi. Sono sola da tanto tempo.
Cercò di non mostrarsi sconvolto. Una donna negli ultimi mesi di gravidanza avrebbe dovuto avere qualcuno attorno che si occupasse di lei.
La rabbia iniziò a montargli dentro. ― Non è venuto nessuno dalla città?
― Mr. Clayborne, io…
― Douglas ― la corresse.
― Douglas, non credo comprendiate la difficoltà della mia situazione. Boyle mi ha tagliata fuori. Nessuno arriva fin qui senza il suo permesso.
Lui sorrise. ― Io l’ho fatto.
Il rendersene conto fece sorridere anche lei. Strano, ma ora Isabel sentiva di aver un maggior controllo della situazione.
― Gli uomini di Boyle devono essere tornati a casa non appena ha iniziato a piovere. Credo che tornino al ranch ogni sera, quando fa scuro, ma non posso esserne certa.
Si raddrizzò dal muro per scrollarsi la polvere dalla gonna e, all’improvviso, le gambe cedettero.
Ne fu terrorizzata. Si appoggiò al muro di nuovo, così da non cadere sulle ginocchia e distolse il viso, mentre gli spiegava in un sussurro cosa era accaduto.
La sua voce suonò spaventata e piena di vergogna. Douglas le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla in un goffo tentativo di confortarla. ― Va tutto bene. È normale che succeda. ― Cercò di sembrare un'autorità in materia, ma in realtà quella frase riassumeva il poco che sapeva riguardo al parto.
― Qualcosa non va. Il bambino non dovrebbe nascere ancora per almeno tre o quattro settimane. Mio Dio, è tutta colpa mia. Non avrei dovuto pulire i pavimenti e fare il bucato ieri, ma era tutto così sporco e volevo tenermi occupata, per non pensare che avrei dovuto avere il bambino da sola. Non avrei mai...
― Sono certo che non avete fatto nulla di sbagliato ― la interruppe. ― Perciò smettetela di biasimarvi. Alcuni bambini decidono di nascere prima. Questo è tutto.
― Pensate…
― Non siete voi la causa di tutto ciò che sta accadendo ― insistette. ― Il bambino fa quel che vuole e anche se foste rimasta a letto, le acque si sarebbero rotte lo stesso. Ne sono sicuro.
Sembrava sapere il fatto suo e lei smise di sentirsi colpevole. ― Penso che il mio bambino nascerà stanotte.
― Sì ― assentì.
― È strano. Non ho dolori.
Stavano bisbigliando entrambi, adesso. Lui cercava di essere premuroso, lei cercava di superare il proprio imbarazzo. L’uomo era un perfetto estraneo e, oddio, avrebbe voluto che fosse vecchio e brutto. Ma non lo era. Era giovane e molto bello. Sapeva che probabilmente sarebbe morta di vergogna se gli avesse permesso di aiutarla a far nascere il suo bambino, perché avrebbe dovuto spogliarsi e così avrebbe visto…
― Isabel, avete smesso di nascondervi? Dovete essere realista. Forza ― la blandì ― guardatemi.
Le ci volle un buon minuto per raccogliere abbastanza coraggio per fare quel che aveva chiesto. La faccia le bruciava di vergogna.
― Dovete essere realista ― le ripeté mentre la prendeva in braccio.
― Che cosa fate?
― Vi riporto in casa. Mettetemi le braccia al collo.

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