"Fahryon" di Daniela Lojarro

Fahryon
Parte prima de Il Suono Sacro di Arjiam
Genere romanzo Fantasy classico
Casa editrice GDS editrice - Luglio 2015 
Pagine 290 
Prezzo 2.99€
Formato Ebook (uscirà a breve in cartaceo)

Daniela Lojarro è nata a Torino. Terminati gli studi classici e musicali (canto e pianoforte), vince alcuni concorsi internazionali di canto che le aprono le porte fin da giovanissima a una carriera internazionale sui più prestigiosi palcoscenici in Europa, negli U.S.A., in Sud Corea, in Sud Africa nei ruoli di Lucia di Lammermoor, Gilda in Rigoletto e Violetta in Traviata. Alcuni brani che ha inciso sono entrati nelle colonne sonore di diversi film, fra i quali «The Departed» di M. Scorsese, «Il giovane Toscanini» di F. Zeffirelli e «I shot Andy Wharol» di M. Harron. 
Si dedica anche all’insegnamento del canto e alla musico-terapia come terapista in audio-fonologia, una rieducazione della voce e dell’ascolto rivolta ad adulti o bambini con difficoltà nello sviluppo della lingua oppure ad attori, cantanti, commentatori televisivi, insegnanti, manager per sviluppare le potenzialità vocali. 

Trama
Nel regno di Arjiam, Fahryon, neofita dell'Ordine sapienziale dell'Uroburo, e Uszrany, cavaliere dell'Ordine militare del Grifo, si trovano coinvolti nello scontro tra gli adepti dell'Armonia e della Malia, due forme di magia che si contendono il dominio sulla vibrazione del Suono Sacro.
Le difficoltà con cui saranno messi a confronto durante la lotta per il possesso di un magico cristallo e del trono del regno, permetteranno ai due giovani di crescere e di diventare consapevoli del loro ruolo e delle loro responsabilità in questa guerra per il potere sul mondo e sugli uomini. 

Capitolo Primo – La Maschera
L'estate volgeva al termine ma il sole dardeggiava ancora su Tuhtmaar, la capitale del regno di Arjiam. L'acqua scorreva lenta nel letto dei due fiumi, il Suszray e il Whahajam: sembrava adattarsi al ritmo sonnolento di quel pomeriggio afoso trascinandosi pigramente in mezzo alle canne, aggirando rocce e massi per lambire le rive con un debole sciabordio. A un tratto, la fiacca di quelle ore torride fu percorsa da un tremito e poi da una vibrazione d'energia mentre nel cielo si stagliava la sagoma di un'aquila del deserto. Il rapace sorvolò le residenze delle nobili Famiglie di Arjiam, volteggiando più volte sui lussuosi padiglioni del palazzo ter Hamadhen per poi dirigersi al Santuario del Suono Sacro sull'isola in mezzo al fiume Suszray. L'aquila penetrò nel cuore del Santuario e si posò sulla pietra di luna sospesa sulla grande vasca sacra, restando immobile, come in attesa, con gli occhi chiusi. Quando una voce di donna si elevò con dolcezza ipnotica da una delle otto cappelle del Santuario, l’aquila, spalancati gli occhi, girò il capo per fissarne l'entrata. La Magh, attratta da una consonanza incomprensibile e ignota, uscì indugiando però sulla soglia nello scorgere il rapace. Soggiogata dalla forza di quello sguardo magnetico, andò a collocarsi sotto la pietra di luna della piscina sacra, tramutando l'inno del raccoglimento in quello della contemplazione. Il canto acquisì vigore animandosi in un ritmo sempre più frenetico, mentre l'enorme gemma iniziò a vibrare. L'acqua della vasca sacra prese a ruotare rapidamente, innalzandosi in un vortice che, avvolta completamente la donna, giunse a sfiorare la pietra di luna. La voce della Magh fu incrinata da un tremore d'indecisione. Avrebbe desiderato con tutta se stessa abbandonarsi a quelle vibrazioni magiche; ma aveva promesso al suo compagno di non compiere più alcun rito per non mettere in pericolo la vita che portava in grembo. La donna tentò di smettere ma gli occhi dell'aquila tornarono a scrutarla. Il Suono Sacro, la vibrazione che aveva dato vita a tutto il Mondo e che lo animava, non avrebbe mai potuto essere pericoloso per la sua creatura. Rassicurata da quel pensiero che l’aquila pareva averle suggerito, Xhanys dispiegò la sua voce nelle sillabe arcane dell'inno sacro: affrontò con sicurezza le luminose note acute per sprofondare poi nel baratro vellutato e tenebroso di quelle gravi, cedendo al sentimento di piacere e d'ebbrezza che la stava invadendo. Suono e Silenzio, Luce e Oscurità, si cancellarono nella sua percezione e Xhanys si disciolse nella vibrazione della sua Armonia unita al Suono Sacro. L'aria si accese di lampi azzurrognoli e un improvviso scoppio agghiacciante la fece barcollare. La donna, sconvolta dalle immagini che sorgevano dal Tempo che sarebbe venuto, lanciò un urlo di terrore: l'incantesimo s'infranse, l'acqua di colpo ricadde in onde scomposte e l'aquila, dopo aver lanciato uno strido, svanì.
La Magh, priva di forze, si accasciò su se stessa, annaspando nell'acqua come un naufrago alla disperata ricerca di un appiglio. Solo dopo aver trovato la sicurezza del bordo della vasca, si rese conto di trovarsi nella piscina sacra.
Mentre aspettava che il respiro e il frenetico pulsare delle tempie si acquietassero, Xhanys scrutò inquieta intorno a sé, nel timore di veder risorgere dall'oscurità del Tempo il fantasma della visione: i raggi del sole, però, filtravano dall'ampia apertura sopra la vasca sacra inondandola di luce.
Era al Santuario e non ricordava nemmeno di essersi allontanata da palazzo. Cosa era successo?
«Stavo solo sognando», mormorò spaventata. «Stavo solo sognando!» reiterò con forza per convincersi.
In preda alla disperazione e al panico, Xhanys si precipitò fuori dal Santuario. Iniziò a vagare per le vie di Tuhtmaar senza una meta precisa, sempre più confusa dalle grida dei venditori e soffocata dal caldo. Facendosi largo tra il via vai di cavalli, portantine e carri che affollavano le anguste vie della Città Vecchia, riuscì a districarsi dai vicoli del quartiere commerciale raggiungendo, infine, la strada che costeggiava il Whahajam. Come una sonnambula, ne seguì un lungo tratto fin quasi all'altro capo della città dove, in un improvviso barlume di coscienza, riconobbe uno dei ponti che segnavano il confine tra i quartieri popolari della capitale e quello nobiliare. Lo attraversò con passo vacillante, senza accorgersi del rispettoso saluto delle guardie del palazzo ter Hamadhen e, seguita dagli sguardi sorpresi degli uomini, s'inoltrò nel lussureggiante parco. Mentre percorreva il viale che conduceva al padiglione principale, si sentì mancare: estenuata, si sedette all'ombra delle grandi palme e dei cipressi. Freneticamente la sua mano strinse il ciondolo a forma di Uroburo che le pendeva sulla fronte.
Non era un incubo, aveva davvero avuto la visione! Quella divinazione confermava la sensazione di rigetto e ripulsa provata quando quella mattina Mazdraan l'aveva baciata.
Nei lunghi anni di apprendimento alla Casa dell'Armonia e poi in quelli di pratica come Magh, si era sempre recata al Santuario fiera e traboccante d'esultanza per la sua Armonia, quel talento che la rendeva speciale e che, nonostante la sua giovane età, le aveva permesso di raggiungere uno dei gradi più alti nella gerarchia dell'Ordine dell'Uroburo. Grazie a quel dono, lei poteva sollevare il velo della realtà che celava a tutti il mistero del Suono Sacro e sfiorarne l'essenza divina. Quel giorno, però, in quello stesso luogo così amato e venerato, la sua felicità e il suo futuro erano andati distrutti. All’improvviso, l’Armonia si era trasformata da dono in fardello. Avrebbe desiderato essere una persona normale e non una Magh; avrebbe preferito l'ignoranza alla Conoscenza.
Xhanys volse lo sguardo alle finestre del giardino d'inverno, dove trascorreva con il suo compagno le ore più intime. Come per incanto, sentì le mani di Mazdraan che l'accarezzavano, le sue labbra che la baciavano e i loro corpi stretti in un abbraccio appassionato mentre facevano l'amore, circondati da quei fiori che entrambi amavano e curavano con dedizione. La cappa di dubbi e paure che le gravava sulla fronte poco per volta si dissolse e Xhanys si rasserenò al ricordo dei momenti felici trascorsi nel loro rifugio.
Forse stava giungendo a conclusioni troppo affrettate, suggestionata dagli occhi dell'aquila. O più semplicemente doveva essersi sbagliata nell'interpretare la divinazione: Tyrnahan le aveva sempre consigliato di riposarsi e meditare prima di chiarire una divinazione. Avrebbe voluto parlarne con lui, ma il Magh, dopo la loro ultima acerba discussione, l'aveva cacciata via rifiutando qualsiasi tentativo di riconciliazione.
Da uno dei ficus selvatici si levò il canto di un usignolo. La donna socchiuse gli occhi e, istintivamente lo ripeté, mormorandone affascinata le note. Un debole refolo d'aria smosse le foglie, portando il fresco aroma dei cedri che attenuava l'atmosfera pesante del pomeriggio, resa ancor più greve dall'intenso profumo degli oleandri in fiore e del roseto. S’incantò a osservare le miriadi di corolle di fiori dai colori vivaci, disposti con arte in mezzo alle aiuole e attorno ai quali sciamavano insetti d’ogni sorta, in un via vai incessante che riempiva l’aria di sommessi brusii, ronzii e fruscii.
Xhanys amava le piante, di cui conosceva ogni proprietà e da cui sapeva ricavare ogni genere di olio o infuso per alleviare dolori e curare; ma adorava soprattutto i fiori, di cui si prendeva cura con passione. Era stato così fin da quando, bambina, Tyrnahan l'aveva condotta dalle Isole Libere, dove era nata, in Arjiam. Prima d'allora non ne aveva mai visto nemmeno uno! Appena giunta, i suoi occhi, abituati ai pallidi e grigiastri colori di quegli scogli freddi e spogli, erano stati accecati dalla luce e dai colori di quella terra esuberante di vita. E Mazdraan, l'amore della sua vita, il padre della creatura che portava in grembo, la circondava sempre dei fiori più belli. Xhanys non poteva credere che Mazdraan fosse il medesimo uomo della visione!
La donna rialzò la testa, ormai sollevata da ogni timore, ma i suoi occhi incrociarono lo sguardo enigmatico dell'aquila che la fissava implacabile, penetrando fin nei recessi più profondi del suo cuore. La vista si oscurò, il dubbio l'assalì di nuovo serrandole in una morsa lo stomaco e trafiggendole il petto con un dolore lancinante. Decisa a porre fine ad ogni costo a quella tortura, Xhanys affrontò l’ultimo tratto del viale che la separava dal palazzo ter Hamadhen; poi, sfinita, si accasciò priva di sensi nel sontuoso atrio. Kehfne, il grassoccio maestro di casa accorso agli strepiti della servitù, s'inginocchiò accanto a lei per prestarle soccorso ma, sottosopra come era, ci mancò poco che cadesse a terra trasportato dalla sua stessa considerevole mole.
«Mia nobile Signora, finalmente sei di ritorno!», esclamò con un sospiro di sollievo nel vederla rinvenire. «Non avevo ancora ritenuto necessario informare il nostro nobile Signore della tua assenza, per ... per non turbarlo», precisò mentre l'aiutava ad alzarsi.
Xhanyslo ignorò e, sforzandosi di non barcollare, si diresse proprio verso l'appartamento del compagno, seguita dallo sguardo pieno d’apprensione del servitore.
«Credo che sarebbe più prudente se tu andassi a riposarti, mia Signora», strepitò Kehfne precedendola affannato per dirottarla altrove. «Farò avvertire immediatamente il risanatore per far controllare il tuo stato di salute. Sarebbe più saggio se ...».
Xhanyslo oltrepassò costringendolo a spostarsi per non essere travolto; poi, superato il grande peristilio centrale, s'infilò risoluta per una galleria laterale, riccamente affrescata a grottesche e immersa in una riposante e fresca penombra.
«Mia Signora!», la supplicò terrorizzato correndole dietro sempre più sconvolto.
Kehfne non osava nemmeno immaginare la furia del suo padrone se avesse scoperto che i suoi ordini erano stati ignorati! Secondo le sue disposizioni, la nobile Xhanys non si sarebbe mai dovuta allontanare da palazzo senza il suo permesso e da sola. Quel giorno, però, era improvvisamente scomparsa senza che nessuno se ne fosse accorto.
«Il nobile Mazdraan sta lavorando e non desidera essere disturbato per nessun motivo», biascicò, sbuffando con la voce rotta e il fiato corto. Pallido, si appoggiò allo stipite della porta, guardandola con aria implorante.
Xhanyslo osservò, stupita da quella manifestazione di paura. «Non ti preoccupare,Kehfne. Il tuo padrone non avrà nulla da rimproverarti. Ora, se non ti spiace, voglio entrare», aggiunse in tono fermo.
Il servitore, abbassando disperato lo sguardo, cedette: bussò una volta sola, molto discretamente, e poi, riluttante, aprì la porta.
Mazdraan, seduto a un grande tavolo di mogano finemente intagliato, sollevò il capo di scatto dai documenti che stava leggendo. Un'occhiata gelida trafisse il maggiordomo di casa ma nessun rimprovero uscì dalle sue labbra: gli era bastato un fuggevole sguardo per accorgersi dell'angoscia che offuscava i luminosi occhi verdi di Xhanys.
Il tempo parve fermarsi per un istante, poi, Mazdraan posò delicatamente la piuma che teneva in mano. Congedò con un cenno Kehfne che, ansimante e incapace di articolare un suono, fissava gli arabeschi dei preziosi tappeti di seta, aspettandosi l'inevitabile scoppio d'ira. Con la consueta eleganza, si alzò per raggiungere la compagna distenendo il volto in un sorriso: la sua figura, slanciata e possente, avvolta in un sobrio caftano di seta nera, si stagliava contro la luce che entrava a fiotti dalla finestra. Xhanys, immobile sulla soglia, lo fissava, affascinata dalle movenze feline e armoniose che esprimevano grazia ma al contempo forza. Mazdraan la baciò teneramente per metterla a suo agio ma lei non rispose a quella dimostrazione d’affetto: le pareva che la stanza, d'un tratto, fosse diventata buia. Non era un'oscurità naturale: gravava come una nebbia densa in tutto l'ambiente, infiltrandosi come un veleno mortale nel suo cuore, raggelando il suo animo e paralizzando la sua volontà. Barcollò ma lui, con prontezza, la sorresse fino al divano aiutandola poi a sedersi.
Mazdraan cinse Xhanys in un abbraccio giocherellando teneramente con una ciocca che ne incorniciava il volto dalla pelle ambrata e dagli zigomi alti mentre di sottecchi la scrutava.
Nemmeno dopo la forzata separazione da Tyrnahan aveva visto Xhanys così turbata; soprattutto, però, portava l'Uroburo.
Sorridendole, si chinò per baciarla di nuovo.
«Non credevo che tu fossi già in piedi dopo il malore di stamani. Non dovresti affaticarti per nessun motivo. Ti faccio portare un infuso di fiori d'arancio ma poi ritornerai immediatamente a letto e senza discussioni. Sei d'accordo, tesoro?», suggerì. «Cosa ti preoccupa? Sai che puoi dirmi ogni cosa: sono qui per te, per proteggerti e amarti», aggiunse.
Xhanys gli accarezzò il viso, ammaliata dalla sua voce sensuale e al tempo stesso dolce. Ripeté silenziosamente quelle due parole, mentre un'espressione serena le rischiarava il volto tirato.
Mazdraan era premuroso e innamorato come sempre. Nessun indizio lasciava supporre o confermava che fosse l'uomo dal sorriso crudele apparso nella visione.
Nuovamente dimentica di tutto, si abbandonò fra le sue braccia, godendosi quella ritrovata armonia e ricambiandone con passione i baci. Di colpo, però, mentre si lasciava cullare dal suono rassicurante delle parole d'amore che le piaceva sentire, lo sguardo inquietante e insistente dell'aquila si affacciò con prepotenza nella sua mente, distogliendola dall'incanto. Xhanys fissò interdetta il suo compagno; poi, iniziò a stropicciare la veste con una mano, abbassando gli occhi per dissimulare il suo terrore. Come se all'improvviso si fosse sollevato un velo, sulle labbra di Mazdraan era comparso un sorriso beffardo e crudele. Sollevò nuovamente lo sguardo ma il viso del suo compagno era tornato a essere quello che conosceva.
«Hai avuto forse un brutto sogno? Un presentimento? Manca poco alla nascita della nostra bambina e tu hai bisogno di serenità e tranquillità. Ancora qualche giorno di pazienza e tutto passerà: tu devi solo affidarti completamente a me e io mi occuperò di ogni cosa», la rassicurò.
Sempre più inquieta e confusa, la donna si morse le labbra. Mazdraan sembrava sinceramente preoccupato, ma qualcosa stonava nella sua voce: era divenuta improvvisamente sgradevole e le pareva che nella sua mente si dividesse in mille stridii che correvano furiosamente, assordandola e confondendola.
«Dove sei stata?», domandò Mazdraan trapassandola con un'occhiata gelida.
Xhanys non rispose subito, paralizzata da quell’espressione che per la prima volta coglieva negli occhi di lui: quegli occhi le erano sempre parsi blu come il mare in tempesta ma ora brillavano freddi come l'acciaio, animati dalla medesima gelida determinazione che lei aveva scorto in quelli dell'uomo della visione.
«Sono stata al Santuario», mormorò poi con voce incerta e tremante.
«Avevamo stabilito che non ti saresti più recata al Santuario», le ricordò Mazdraan con voce dura e sferzante. «E, soprattutto, che non avresti più tentato di avere visioni prima della nascita di nostra figlia, per non far correre dei rischi inutili a te e alla bambina. Che cosa sei stata a fare al Santuario?», chiese in tono imperioso. 
«Nulla ... ho solo pregato», si affrettò a rispondere Xhanys, impressionata da quella collera.
«Pregare?», ripeté Mazdraan incredulo. 
«Dovevo pregare perché ... avevo … ho paura e ... e poi ...».
S'interruppe incerta. Non le sembrava giusto dubitare del suo amore. Si sentiva così colpevole al pensiero di aver potuto anche solo per un attimo credere alla visione. Mazdraanl'amava ed era in pensiero per la sua salute.
L'improvviso bagliore della gemma, incastonata nel candido medaglione d'avorio del compagno, l'abbagliò. Stordita, Xhanys sbatté le palpebre mentre i magnetici occhi verdi dell'aquila baluginavano nelle sfaccettature della gemma.
In quell'istante, la maschera di Mazdraan iniziò a sgretolarsi: i tratti fini del volto dell'uomo amato coincisero perfettamente con l'espressione orgogliosa e spietata dell'uomo della visione mentre la sua voce calda e appassionata s'insinuava nella sua mente come un serpente, stritolandola nelle sue spire per indurla a credere alle sue menzogne. Xhanys, in un ultimo frenetico tentativo, si aggrappò ancora a tutti i meravigliosi ricordi della loro vita insieme, ma le immagini del tempo felice passato accanto a lui sbiadirono inesorabilmente a una a una, dissolvendosi rapidamente come i sogni all'alba.
Ormai vinta, Xhanys non si oppose più e l'inno della contemplazione invase la sua mente mentre la sua pietra di luna vibrava, evocando il Suono Sacro. Un lampo squarciò le tenebre che avevano oscurato la sua percezione e il Suono Sacro la illuminò con la verità: Xhanys sussultò e, svegliatasi di soprassalto dal sortilegio che l'aveva accecata, scoppiò in un pianto straziante e irrefrenabile.
Mazdraan, infastidito dai suoi gemiti, si scostò precipitosamente: libera dalla sua stretta, la donna si accasciò sui cuscini nel tentativo di soffocare i lamenti che non riusciva in alcun modo a trattenere.
Il Suono Sacro era la Conoscenza eterna e immutabile e in Esso solo si trovava la via per raggiungerla; ma Xhanys aveva spontaneamente abbandonato il cammino, aveva tradito il suo Uroburo, perché i suoi vincoli terreni l'avevano abbagliata, trattenendola al di qua della Conoscenza dell'ultimo Mistero. La visione non mentiva: Mazdraan non l'aveva mai amata e si era semplicemente servito di lei che, accecata dall'amore, aveva negato la vera natura di quell'uomo, credendo che fossero gli altri a giudicarlo troppo severamente. Dopo gli anni di disperata solitudine della sua infanzia, non le era parso vero di scorgere negli occhi di un uomo la stessa intensa espressione d'amore che brillava in quelli di suo padre quando osservava sua madre, o di sentirsi così strettamente unita a lui da quei misteriosi invisibili legami di complicità che nessuna lontananza poteva scalfire o annullare. Si era trattato solo di un’illusione. Eppure, non poteva odiare Mazdraan, né voleva rinnegare il sentimento che l'aveva unita a lui, perché il suo amore era stato vero.
«Scusami, mia cara», le disse Mazdraan in tono contrito asciugandole con delicatezza le guance. «Mi spiace, amore! Ti prego, perdonami per essere stato così brutale con te ma sono molto preoccupato. Ti comporti così stranamente e io non so più come rassicurarti ... come aiutarti. Tesoro, non hai più fiducia in me? Ti amo, sei la mia unica ragione di vita e la sola idea che possa succedere qualcosa alla bambina o a te, mi fa perdere la ragione. Ti prego, Xhanys, dimmi che mi perdoni», la implorò con una sfumatura d'apprensione nella voce mentre affondava il viso nei suoi capelli.
Xhanys raddrizzò coraggiosamente le spalle e incrociò lo sguardo di lui con fermezza, rivolgendogli un debole sorriso.
Non aveva mai mentito a Mazdraan, né lo avrebbe fatto in quel momento: desiderava lasciare parlare liberamente il suo cuore, rivelandogli con sincerità i suoi sentimenti come aveva sempre fatto. Il suo amore, però, non le avrebbe più impedito di fare ciò che era giusto.
«Allora mi perdoni?», chiese Mazdraan accennando un tenero sorriso.
Xhanys non lo respinse, sorridendogli a sua volta mentre gli accarezzava delicatamente il viso. Mazdraan, sentendo la tensione della compagna sciogliersi e svanire, le prese la mano per baciargliela; poi, con passione la strinse a sé.
«Il Suono Sacro vede e legge le intenzioni del cuore di ognuno di noi: Esso solo può giudicarci. Io ti amo tanto, Mazdraan, tu non puoi nemmeno immaginare quanto», mormorò Xhanys, baciandolo a sua volta con trasporto. «Ti amo tanto e ti amerò per sempre», ripeté ancora in un soffio.

I protagonisti principali del romanzo
Fahryon è una giovane donna; ed è neofita, cioè è un’aspirante Magh, studia per diventare un’iniziata ai Misteri del Suono Sacro e praticare l’Armonia. Nelle prime pagine dell’avventura, Tyrnahan, il suo mentore, s’interroga perplesso sul significato della presenza di quella ragazza dai grandi occhi scuri, i capelli bruni che le arrivano a vita, «dall’aria trasognata e dalla figura così fragile con quella carnagione così pallida da sembrare una statuina di porcellana».
All’inizio, infatti, Fahryon è piena di dubbi e incertezze, ha momenti di scoraggiamento: la missione che ha giurato di compiere le sembra al di fuori delle sue possibilità. Non è una predestinata né una prescelta: può contare solo sulle sue forze e sulla sua capacità/possibilità di scegliere e di muovere gli eventi senza avere, apparentemente, un talento o un dono particolari. Lottaaccanitamente per superare gli ostacoli e le prove che si trovano sul suo cammino ma per confrontarsi con se stessa, per crescere e diventare consapevole della sua “forza”,Fahryon taglia i ponti con il suo passato e rinuncia perfino a Uszrany, l’uomo che ama.
Una spia al soldo dell’avversario descrive il CavaliereUszranycome un giovane «di carnagione scura, di statura superiore alla media; i capelli neri e lisci trattenuti con un laccio; il volto, senza barba o baffi, ha tratti orgogliosi ed alteri». 
Già quando entra in scena s’intuisce che Uszrany non è un Cavaliere qualunque. Infatti, nonostante la giovane età e l’inesperienza, è già aiutante del Comandante della capitale, uno dei più valorosi Cavalieri del regno. Uszranyè il cavaliere per eccellenza, forte, coraggioso e, in fondo, perfino un po’ bigotto nella sua cieca fedeltà alla Regola del suo Ordine. Ma è giovane e vive le sue convinzioni con la passione, l’impulsività e l’energia di cui solo un uomo di 20 anni è capacepassando da momenti di furia tremenda a momenti di passione e di dolcezza.
Però, nel giro di poche ore, per la sua stessa salvezza, si trova costretto a violare il giuramento di fedeltà che lo lega all’Ordine: il suo perfetto mondo di Cavaliere nutrito di onore e gloria, gli rovina improvvisamente addosso. Da questo momento, delusione, disillusione e mancanza di stima per se stesso s’impadroniscono di lui e diventa così la vittima ideale dell’astuto Mazdraan.

Il nobile Mazdraan colpisce sin dall’inizio con la sua eleganza e la sua capacità oratoria. Il fascino che emana la sua persona lo rende temibile: chiunque lo avvicini, non può sottrarsi alla seduzione della sua voce calda e sensuale, perdendo perfino di vista il valore delle sue parole per lasciarsi avvolgere, o cullare da essa. Riassume in sé la forza dell’eloquenza, la determinazione, la capacità di piegare la volontà altrui alla propria senza minacce dirette: gode nel vedere gli altri soccombere davanti alla sua placida calma, si bea nel far perdere le staffe al prossimo. Lui, al contrario, non perde quasi mai la pazienza, trova il modo di sorridere anche quando vorrebbe lasciarsi prendere dall’ira e s’infuria con se stesso quando perde il controllo.
È un uomo assetato di potere e disposto a tutto pur di ottenerlo.Non esercita il potere per un motivo preciso: lo ama. Ogni sua frase, ogni mossa, ogni pausa o ogni parola sono soppesate, calcolate e mirate per raggiungere uno scopo preciso: il Potere. A parte questo, nulla lo interessa veramente. Mazdraan lo confessa senza alcuna incertezza: «Ho tutto ciò che desidero e che il mio rango può offrirmi. Perciò perché non impegnarmi nella ricerca proibita per raggiungere ciò che ogni uomo in fondo al suo cuore desidera? Il Potere sugli altri, sul Mondo, sul Tempo ma non quello apparente e volubile della sovranità, ma quello assoluto che si può ottenere solo andando oltre alla Legge del Suono Sacro». 

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