Pensieri e riflessioni su "Il mio cuore è più stanco della mia voce" di Oriana Fallaci

Il mio cuore è più stanco della mia voce
Oriana Fallaci

Editore: Rizzoli
Collana: Opere di Oriana Fallaci
ISBN: 8817061271
ISBN-13: 9788817061278
Pagine: 205

Sinossi:
Negli anni Settanta Oriana Fallaci è un mito. Prima il Vietnam, poi Città del Messico e infine la storia d'amore con Alekos Panagulis, eroe della Resistenza greca, simbolo dell'opposizione a qualunque regime liberticida. Dopo la morte di lui e la pubblicazione di "Un uomo", Oriana riesce a creare un incantamento globale: vorrebbero essere come lei i tanti giovani e meno giovani attratti dalla personalità dei suoi reportage di guerra e dal suo coraggio. E vorrebbero essere come lei molte donne, per le quali la scrittrice rappresenta la realizzazione di un sogno. In quegli anni la Fallaci accetta i sempre più frequenti inviti a incontrare i suoi lettori stranieri, nelle città e nelle università del mondo. Questo libro raccoglie alcune delle sue conferenze di maggior rilievo, pagine rimaste finora inedite che rivelano il suo rapporto con la scrittura, la sua passione per la politica e per l'impegno civile, la sua "ossessione per la libertà". E il suo autoritratto più autentico, una sorta di manifesto in cui Oriana rivendica e difende con vigore il diritto a "stare dalla parte dell'umanità, suggerire i cambiamenti, innamorarci dei buoni cambiamenti, influenzare un futuro che sia un futuro migliore del presente".

Il pensiero di Annachiara:
A sei anni dalla scomparsa di questa grande scrittrice, continuano le pubblicazioni di raccolte di interviste, articoli e altro materiale, a volte inedito, che l’autrice ha lasciato in eredità al nipote.

Questo volume raccoglie sei testi di conferenze e interventi tenuti in America (sia negli USA che in Sud America) alla fine degli anni ’70 e nei primi anni ’80, proprio quando la fama della Fallaci era al suo massimo e la sua presenza richiesta in tutto il mondo.

“Ovvio che l’illusione di cambiare la faccia della Terra con una macchina per scrivere è dura a morire in un giornalista.”

A questa recensione devo premettere che Oriana Fallaci è la mia scrittrice preferita.
Me ne innamorai fin da quando lessi Un Uomo, diversi anni fa, e quello che mi ha insegnato attraverso i suoi libri è incommensurabile. Nel corso degli anni ho cercato di leggere tutto quello che ha scritto ed era quindi inevitabile che mi gettassi a capofitto su questo nuovo volume, come appunto ho fatto.
Tuttavia, le pubblicazioni postume mi lasciano sempre divisa tra la gioia di avere qualcosa di ancora non letto e la paura che questo tradisca la volontà della scrittrice e l’essenza delle sue parole. 
In questo caso specifico si è scelto di riportare i testi esattamente sono stati trovati e, paradossalmente, proprio questa scelta ha “tradito” il modo di lavorare della scrittrice, come dirò più avanti, ma è comunque stata, a parer mio, la migliore che si potesse fare.

“Sono qui per offrirvi frammenti di conoscenza sulla vita com’è oltre le mura della società in cui vivete, e oltre l’abitudine all’indifferenza, la cattiva memoria, l’ignoranza, che spesso trovate in coloro che si disinteressano o dimenticano o ignorano.”

Dicevo quindi, sei interventi. Sei conferenze il cui comune denominatore è il rapporto tra giornalismo e politica, scrittura e politica, libertà e politica. 
Si inizia con la bellissima conferenza tenuta all’Amherst College il 26 aprile 1976 (sì, proprio la conferenza di cui si parla anche in Un Uomo!) in cui la scrittrice difende il diritto, anzi il dovere del giornalismo di essere di parte, sfacciatamente di parte, contro il pavido slogan americano dei fatti-non-opinioni. Si continua con interventi ad Harvard e in Argentina, si parla di poesie della resistenza (in qualsiasi tempo, in qualsiasi paese), e anche di quel tempo lontano in cui la scrittrice pensava di prendere una laurea in medicina (ricordo rievocato nella conferenza all’istituto di formazione dell’Eisenhower Medical Center).
La Politica regna sovrana in ognuno di questi testi, la Politica con la P maiuscola, quella in cui credere nonostante i potenti che la usano per i propri scopi, nonostante gli assassini della libertà e della giustizia che vorrebbero piegarla alle loro guerre. 
E alla politica si accompagna, forte e deciso, l’elogio della figura dello Scrittore. Lo Scrittore che è sempre scrittore, anche quando non scrive, soprattutto quando non scrive ma vive. Lo Scrittore come figura centrale nella vita pubblica e politica di uno stato, che vede le cose diversamente e meglio degli altri e attraverso il suo scrivere le trasmette poi alla gente. È questo un concetto molto particolare e presuntuoso, che certamente colpisce il lettore, non sempre in positivo. È tuttavia, se ci si lascia convincere, un concetto bellissimo e assolutamente vero, impossibile da ignorare.
Nonostante siano passati trent’anni e più da quelle conferenze, nonostante il mondo sia cambiato radicalmente e irrimediabilmente, questi testi sono capaci di conquistare e affascinare, di far aprire gli occhi su realtà o argomenti troppo spesso ignorati e, cosa preziosissima e non scontata, di far riflettere.

“Forse io vedo il giornalismo come lo sogno, non come è. Forse il giornalismo che sogno è impossibile. Forse non posso chiedervi di condividere questo sogno. Ma c’è una frase che gli studenti di Parigi scrissero sui muri della Sorbona durante la rivolta del 1968. E mi piace molto. Dice: «Siate realistici. Chiedete l’impossibile».”

Venendo invece alle pecche di cui parlavo all’inizio, queste riguardano sostanzialmente il modo in cui si è deciso di presentare il volume. Anzitutto, radunando interventi che avevano tutti lo stesso soggetto di partenza alcune idee e alcuni brani si ripetono tra un testo e l’altro. Nella nota dell’editore è espressamente dichiarato che si è deciso di non apportare tagli appunto per riportare fedelmente quanto è stato scritto (e pronunciato, trattandosi di conferenze), eppure alla terza volta che si legge del rapporto tra lo Scrittore e la Politica si anela inevitabilmente a qualcosa di diverso.

Il secondo difetto riguarda le traduzioni. La maggior parte dei testi presentati, infatti, è stato scritto in inglese, lingua che la scrittrice conosceva bene ma parlava (sempre dalla nota dell’editore)“a modo suo”. Si è avuta quindi la necessità di tradurli per presentarli in Italia, ma la traduzione di un testo della Fallaci (soprattutto se eseguita dall’inglese all’italiano) finisce inevitabilmente per tradire l’autrice, se pensiamo che lei metteva un’attenzione maniacale ed esagerata nel ritmo e nel suono delle parole e delle frasi.
Avrei insomma voluto che venisse riportato anche il testo originale in inglese per dare la possibilità a quanti ne erano capaci di leggere la versione in lingua.

Concludendo, è stato un libro che non ha deluso le mie inevitabili aspettative, che dice qualcosa di nuovo rispetto al resto della produzione della scrittrice ma è, ovviamente, assolutamente coerente con tutti i suoi libri precedenti ed è questo l’importante, a prescindere da quanto poi la si voglia definire operazione commerciale (cose che in effetti credo che sia).

“Ecco, questo è tutto. Non ci saranno domande, non tanto perché sia tardi, ma perché il mio cuore è più stanco della mia voce. 
Grazie per avermi ascoltato in questi giorni e per favore non scordate quello che avete sentito oggi.”
Annachiara

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