"Il Risveglio di Fahryon" – Parte seconda de "Il Suono Sacro di Arjiam" di Daniela Lojarro

Il Risveglio di Fahryon – Parte seconda de Il Suono Sacro di Arjiam
Genere romanzo: Fantasy classico
Casa editrice: GDS editrice - Dicembre 2015 
Pagine: 314 
Prezzo: 2.49 €
Formato Ebook (uscirà a breve in cartaceo)

Trama
Fahryon, neofita dell’Ordine dell’Uroburo, fugge dalla capitale del regno di Arjiam insieme ad Uszrany, cavaliere dell’Ordine del Grifo, per evitare di cadere nelle mani del potente nobile Primo Cavaliere del regno, il nobile Mazdraan, segretamente adepto della Malia, l’insidiosa magia legata al Silenzio e al Vuoto.
Tuttavia, durante la precipitosa fuga, il nobile Mazdraan cattura Uszrany; Fahryon, invece, è tratta in salvo da Vehltur, un misterioso Magh. Mentre Uszrany, prigioniero del nobile Mazdraan, scopre sconcertanti segreti sulla storia del regno e impara a convivere con i fantasmi del suo passato, Fahryon, sotto la guida di Vehltur, inizia il cammino iniziatico che, prova dopo prova, la prepara al confronto con il suo avversario, il nobile Mazdraan. 

Daniela Lojarro è nata a Torino. Terminati gli studi classici e musicali (canto e pianoforte), vince alcuni concorsi internazionali di canto che le aprono le porte fin da giovanissima a una carriera internazionale sui più prestigiosi palcoscenici in Europa, negli U.S.A., in Sud Corea, in Sud Africa nei ruoli di Lucia di Lammermoor, Gilda in Rigoletto e Violetta in Traviata. 

Ha inciso diversi CD: 
G. Rossini Ermione (con M. Caballè, M. Horne) 
G. Paisiello Nina, ossia la pazza per amore 
CD Gala Concert con brani da Lucia di Lammermoor di Donizetti, Rigoletto di G. Verdi e Le nozze di Figaro di W. A. Mozart 
F. & L. Ricci Crispino e la Comare 
Exawatt: Time Frame 
Ars Nova: Seventh Hell 

Diverse opere da lei interpretate sono state riprese da radio o televisione: 
G. Rossini Ermione 
V. Bellini La Sonnambula 
G.F. Haendel Alcina 
L. Delibes Lakmé 

Alcuni brani da lei incisi sono stati inseriti come Soundtrack in diversi Film: 
Zeffirelli Toscanini con brani da Lucia di Lammermoor di G. Donizetti (con C. Bergonzi) e Rigoletto (con C. Bergonzi) di G. Verdi. 
Harron I shot Andy Warhol con brani da Rigoletto di G. Verdi 
Scorsese The departed con brani da Lucia di Lammermoor di G. Donizetti 

Si dedica anche all’insegnamento del canto e alla musico-terapia come terapista in audio-fonologia, una rieducazione della voce e dell’ascolto rivolta ad adulti o bambini con difficoltà nello sviluppo della lingua oppure ad attori, cantanti, commentatori televisivi, insegnanti, manager per sviluppare le potenzialità vocali. 

«Fahryon» parte prima della saga «Il Suono Sacro di Arjiam», edito da GDS, è il suo primo romanzo. «Il Risveglio di Fahryon», sempre edito da GDS, è la parte conclusiva di questo episodio della saga ambientata nel mondo di Arjiam. Nel 2016 entrambe i libri verranno pubblicati in cartaceo.

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I protagonisti principali del romanzo

Fahryon è una giovane donna; ed è neofita, cioè è un’aspirante Magh, studia per diventare un’iniziata ai Misteri del Suono Sacro e praticare l’Armonia. Nelle prime pagine dell’avventura, Tyrnahan, il suo mentore, s’interroga perplesso sul significato della presenza di quella ragazza dai grandi occhi scuri, i capelli bruni che le arrivano a vita, «dall’aria trasognata e dalla figura così fragile con quella carnagione così pallida da sembrare una statuina di porcellana».
All’inizio, infatti, Fahryon è piena di dubbi e incertezze, ha momenti di scoraggiamento: la missione che ha giurato di compiere le sembra al di fuori delle sue possibilità. Non è una predestinata né una prescelta: può contare solo sulle sue forze e sulla sua capacità/possibilità di scegliere e di muovere gli eventi senza avere, apparentemente, un talento o un dono particolari. Lotta accanitamente per superare gli ostacoli e le prove che si trovano sul suo cammino ma per confrontarsi con se stessa, per crescere e diventare consapevole della sua “forza”, Fahryon taglia i ponti con il suo passato e rinuncia perfino a Uszrany, l’uomo che ama.

Una spia al soldo dell’avversario descrive il Cavaliere Uszrany come un giovane «di carnagione scura, di statura superiore alla media; i capelli neri e lisci trattenuti con un laccio; il volto, senza barba o baffi, ha tratti orgogliosi ed alteri». 
Già quando entra in scena s’intuisce che Uszrany non è un Cavaliere qualunque. Infatti, nonostante la giovane età e l’inesperienza, è già aiutante del Comandante della capitale, uno dei più valorosi Cavalieri del regno. Uszrany è il cavaliere per eccellenza, forte, coraggioso e, in fondo, perfino un po’ bigotto nella sua cieca fedeltà alla Regola del suo Ordine. Ma è giovane e vive le sue convinzioni con la passione, l’impulsività e l’energia di cui solo un uomo di 20 anni è capace passando da momenti di furia tremenda a momenti di passione e di dolcezza.
Però, nel giro di poche ore, per la sua stessa salvezza, si trova costretto a violare il giuramento di fedeltà che lo lega all’Ordine: il suo perfetto mondo di Cavaliere nutrito di onore e gloria, gli rovina improvvisamente addosso. Da questo momento, delusione, disillusione e mancanza di stima per se stesso s’impadroniscono di lui e diventa così la vittima ideale dell’astuto Mazdraan.

Il nobile Mazdraan colpisce sin dall’inizio con la sua eleganza e la sua capacità oratoria. Il fascino che emana la sua persona lo rende temibile: chiunque lo avvicini, non può sottrarsi alla seduzione della sua voce calda e sensuale, perdendo perfino di vista il valore delle sue parole per lasciarsi avvolgere, o cullare da essa. Riassume in sé la forza dell’eloquenza, la determinazione, la capacità di piegare la volontà altrui alla propria senza minacce dirette: gode nel vedere gli altri soccombere davanti alla sua placida calma, si bea nel far perdere le staffe al prossimo. Lui, al contrario, non perde quasi mai la pazienza, trova il modo di sorridere anche quando vorrebbe lasciarsi prendere dall’ira e s’infuria con se stesso quando perde il controllo.
È un uomo assetato di potere e disposto a tutto pur di ottenerlo. Non esercita il potere per un motivo preciso: lo ama. Ogni sua frase, ogni mossa, ogni pausa o ogni parola sono soppesate, calcolate e mirate per raggiungere uno scopo preciso: il Potere. A parte questo, nulla lo interessa veramente. Mazdraan lo confessa senza alcuna incertezza: «Ho tutto ciò che desidero e che il mio rango può offrirmi. Perciò perché non impegnarmi nella ricerca proibita per raggiungere ciò che ogni uomo in fondo al suo cuore desidera? Il Potere sugli altri, sul Mondo, sul Tempo ma non quello apparente e volubile della sovranità, ma quello assoluto che si può ottenere solo andando oltre alla Legge del Suono Sacro». 

Estratto dal capitolo 2 Regalo

«Non hai ancora risposto alla mia domanda. Hai bisogno di aiuto per schiarirti la memoria?», chiese Mazdraan sedendosi. 
«Non è necessario alcun tipo d'incoraggiamento, nobile padre», ironizzò Uszrany. «Stavo andando al Castello e ho incontrato il Comandante Pakudd per strada. Abbiamo avuto un vivace scambio d’opinioni e ... Beh, ho fatto a pugni con lui», spiegò. 
«Hai fatto a pugni col Comandante Pakudd», ripeté Mazdraan incredulo. «Permettimi di dubitare che il Comandante Pakudd si sia lasciato trascinare in una rissa da osteria da te, che non sei poi uno qualunque, ma il figlio del suo superiore di grado, oltre che nobile Signore di un Dominio. E dove?», chiese sospettoso.
«In riva al Whahajam, appena fuori della prima porta a sud della cittadella», rispose Uszrany con un sospiro d'impazienza.
«Che cosa ci facevi in quel posto da solo? Sei stato tentato dall'idea di partire alla ricerca del tuo perduto amore?», ironizzò Mazdraan.
«Non avrei dovuto trovarmi lì da solo ma credevo che Zanthre mi avesse seguito e poi non ho prestato attenzione alla strada perché ero troppo sbronzo», ammise Uszrany in tono sinceramente dispiaciuto.
«Per quale motivo hai litigato con Pakudd? A causa ...», Mazdraan s'interruppe vedendo il viso di Uszrany contrarsi, «... a causa della piccola dolce Fahryon!», esclamò scoppiando a ridere dopo il suo piccolo assenso con il capo. «Sei riuscito almeno a difenderti o hai pensato che non sarebbe stato onorevole combattere contro il tuo ex-Comandante che, oltretutto, è anche più anziano di te?», domandò.
Poi, sempre più interessato e divertito, fece scivolare all'indietro il sedile per appoggiare i piedi sul tavolo. 
«Eravamo a un punto morto, quando sono rimasto impigliato in un ramo e lui mi ha steso», confessò il giovane. 
Si sedette a sua volta, sapendo che suo padre non amava discutere costretto a guardare dal basso in alto. Mazdraan, sempre più sorpreso per la sua inconsueta gentilezza, sollevò pensieroso un sopracciglio. 
«Conoscendo il Comandante è già molto che non ti abbia rispedito a casa ridotto a brandelli», osservò. «E poi?», insisté.
«Sono rimasto lì a farmi asciugare gli abiti e a pensare», rispose Uszrany.
«Pensare?!», mormorò Mazdraan sinceramente stupefatto, alzando il capo di scatto. «Pensare?», ripeté come se non fosse certo d'avere compreso bene. «Distogliere dal suo torpore l'organo, che rende la vita d'ogni essere umano diversa da quella di un animale, deve esserti costato uno sforzo non indifferente, figliolo!», esclamò ridacchiando. «E questo incantesimo è dovuto al forbito eloquio del nostro infaticabile Comandante o piuttosto alla forza dei suoi pugni?», lo stuzzicò.
«Il suo forbito eloquio mi ha provocato ma poi constatare lo stato non particolarmente brillante della mia forma fisica mi ha spinto a destare il cervello dal suo letargico sopore», spiegò Uszrany.
Si sprofondò ancora di più nel divano per celare il gesto di stizza che quelle parole gli avevano provocato.
«A quali conclusioni saresti giunto dopo un così lungo e strenuo confronto con te stesso? O la mia è una domanda indiscreta?», chiese Mazdraan dopo avere riflettuto attentamente su ogni sua singola parola. 
«Ti avrei parlato spontaneamente delle mie riflessioni, anche se tu non me lo avessi chiesto. Ho bisogno della tua autorizzazione per lasciare Tuhtmaar e che tu venga con me a Zehdûm, nobile padre», disse Uszrany con decisione.
«Dovrei ritenermi onorato di avere addirittura fatto parte dei tuoi pensieri?», domandò Mazdraan in tono pungente.
«Non fraintendermi: i miei sentimenti di devozione e affetto filiale nei tuoi riguardi non sono certo mutati e non ho alcuna intenzione di mettere da parte quelle che tu definisci le nostre piccole divergenze d'opinione», si affrettò a chiarire.
«Questo mi rassicura perché cominciavo a nutrire qualche dubbio sulla tua sincerità», rispose Mazdraan emettendo un comico sospiro di sollievo. «Ma non credi che, se io lo desiderassi, riuscirei anche a farti riconsiderare le tue posizioni sugli argomenti che sembrano dividerci?», domandò con una leggera sfumatura divertita nella voce.
«Tu sai sempre essere molto convincente, nobile padre», ammise Uszrany. 
«Il cambiamento del tuo stato d'animo, benché un po' troppo repentino, è davvero stupefacente, Uszrany», commentò Mazdraan pensieroso. «Ci tieni così tanto ad andare a Zehdûm in mia compagnia da ignorare perfino le mie battute per non perderti in sconsiderati sfoghi d'ira. Ma perché vuoi trascinarmi via da Tuhtmaar?», insistette. 
Uszrany non rispose, concentrato a osservare il complesso intreccio di lucenti fili d'oro e d'argento dell'arazzo che formavano il disegno dell'ultima vittoriosa battaglia del Grande Re contro gli invasori.
«È vero che il Re Sahrjym non ha mai voluto usare la Sintonia per vincere i Bahvjim?», chiese Uszrany.
«Così si dice e così è scritto nelle Cronache del regno», confermò suo padre con un sospiro d'impazienza per quell'inopportuna divagazione.
«Se lui ha unito il nostro popolo ed è riuscito a vincere i nostri nemici senza l'aiuto della magia, cosa ti spinge a cercare quel potere che nemmeno il Grande Re ha voluto usare?», domandò Uszrany dopo averlo fissato a lungo. «Perché ti sei impegnato in una ricerca proibita da tempo immemorabile? Perché vuoi dominare il Suono Sacro? Perché, nobile Mazdraan?», chiese con rabbia.
«Vedo che le lezioni di Kehfne ti hanno giovato. Mi complimento per la sottile sfumatura della tua dialettica: hai perfino evitato di usare l'ironico appellativo di “nobile padre” per farmi capire che il tuo non è un diversivo, nobile Uszrany, e non hai nemmeno fracassato qualcosa!», osservò ironico. «Che cosa speri? Di commuovermi e farmi giurare che smetterò d'inseguire il mio obiettivo per formare insieme a Fahryon una bella famiglia felice?», commentò con durezza. «Vorresti, piuttosto, rispondere alla mia domanda, visto che la tua non è pertinente alla nostra conversazione?».
«È pertinente invece», protestò Uszrany vivacemente, andando a piazzarsi di fronte a lui dall'altra parte del tavolo e appoggiandovi sopra le mani. «Io vorrei almeno sapere il perché di tutto questo. Per te, mia madre, Xhanys, Nehenys, la famiglia di Fahryon, lo stesso Tyrnahan non contavano nulla: vivi o morti ti erano, e ti sono, del tutto indifferenti, perché per te siamo tutti dei casuali accidenti sul tuo cammino. Se ti serviamo bene, se ti ostacoliamo ci elimini, altrimenti è come se non esistessimo neppure. Per te non esiste alcun legame, alcun vincolo né di affetto né di amicizia, non rispetti alcun patto e non tieni in conto alcun giuramento: sarebbe potuta risorgere dalle sue ceneri mia madre per venire personalmente a confessarti che ero tuo figlio ma, se io non avessi posseduto il Cristallo, tu non avresti mosso nemmeno un dito per riconoscermi o farmi nominare tuo erede. Invece, per quel Cristallo hai sconvolto la mia vita, distruggendo l'esistenza delle persone che avevo più care al mondo. E mi vieni a dire che questo non è pertinente alla nostra discussione?», concluse in tono sempre più appassionato e veemente.
Mazdraan lo fissò impassibile per qualche istante ancora, poi lo invitò a sedersi. «Se hai terminato con l'ennesima esternazione incontrollata dei tuoi pensieri e delle tue emozioni, possiamo tornare al motivo per cui vorresti andare a Zehdûm e, se ti è possibile, senza altre patetiche digressioni», precisò sorridendogli tranquillo.
«Voglio andarci per impegnare in maniera meno futile il mio tempo. La compagnia di Zanthre è divertente ma sbronzarmi ha solo peggiorato il mio stato letargico. Ammetto, anche, che non essere stato in grado di difendermi è stato un duro colpo da sopportare per il mio orgoglio. A Zehdûm, invece, potrei rendermi utile. Farei volentieri a meno della tua presenza ma non credo che tu ti fidi di me a tal punto da lasciarmi partire da solo», spiegò Uszrany quasi senza prendere respiro.
«Pensi che nobile Tszaraday rimarrà buono in un angolo mentre tu gli porti via il suo giocattolo preferito?», gli ricordò Mazdraan con un sorriso canzonatorio.
«Lo farà, nobile padre, perché teme troppo gli scandali: sono il suo incubo», affermò Uszrany senza la minima esitazione.
«Vorresti minacciarlo?», domandò Mazdraan incredulo. «Da quando il tuo immacolato onore di Cavaliere scende a simili compromessi pur di riacquistare un minimo di libertà, Uszrany? È stato il tuo amico Zanthre ad aprirti gli occhi?», chiese in tono cinico tornando a sprofondarsi comodamente nel sedile. 
«Non ho bisogno di cercare esempi da emulare fuori di questa stanza, senza offesa naturalmente», ribatté Uszrany. «Comunque, io ho solo intenzione di ricordare al nobile Tszaraday che, al momento della sua nascita, gli è stata donata una vasta tenuta ai confini col Dominio ter Kehryos della quale sarebbe ora che s'occupasse personalmente. Le sue rendite non faranno che avvantaggiarsi di una tale cura e, di conseguenza, anche la dote di sua figlia, che sarebbe giusto in età da marito», spiegò determinato.
«Penso che invierò un regalo principesco al Comandante Pakudd per ringraziarlo del suo intervento!», esclamò Mazdraan scoppiando a ridere di gusto. «Riuscire a farti rinsavire fino a questo punto con un paio di pugni ben piazzati è una magia degna dello stesso Sahrjym!», aggiunse.
Mazdraan si alzò e, mentre Uszrany lo guardava, incerto se interpretare la sua reazione come un assenso o come un rifiuto, si appoggiò alla cornice del caminetto fissando rapito il fuoco che illuminava di bagliori rossastri il suo caftano di damasco nero.
«Perché?», domandò girandosi all'improvviso. «Non mi ripetere quella bella storiella sul prendere il posto che ti spetta, voglio la verità: o me la dici spontaneamente oppure sarò costretto a ricorrere alla Malia. Spiegami perché io dovrei allontanarmi a tempo indeterminato dalla capitale per stare a sorvegliarti, esiliandomi in quel buco freddo e noioso di Zehdûm», disse in tono calmo ma duro.
Sul suo volto non c'era più alcuna traccia di facezia o di curiosità ma solo una determinata espressione di fermezza. 
«Non ho nulla da nasconderti, nobile padre, e so perfettamente che potrei giurare e darti la mia parola d'onore, senza riuscire nemmeno a smuoverti», affermò Uszrany sostenendone lo sguardo con risoluzione. «Desidero andare a Zehdûm perché ho capito che solo assumendo le mie responsabilità nei confronti di coloro che mi hanno giurato fedeltà, potrò recuperare il rispetto di me stesso, facendo in modo che la mia vita non sia vuota e inutile. Non voglio separarmi dai miei fantasmi ma almeno imparare a convivere con loro e, soprattutto, a non farmi più tormentare dal ricordo delle loro sofferenze o da quello delle ingiustizie subite: desidero, piuttosto, tenere vivo nella mia memoria l'esempio della loro vita. Puoi anche scrutare fino in fondo al mio cuore usando la Malia. Ti ho detto la verità: desidero solo recuperare la mia dignità. Non voglio fuggire: dove potrei mai trovare un rifugio abbastanza lontano per non farmi raggiungere dal rimorso d'avere ottenuto la mia libertà a prezzo della vita di una bambina innocente?», concluse con profonda onestà e sincerità. 
«Le tue parole, Uszrany, per me sono tutte un mucchio d'assurde idiozie», esordì Mazdraan dopo un lungo silenzio. «Però, tu ci credi e questo è ciò che m'importa. Avverti Kehfne che partiremo per Zehdûm fra due giorni», decise. 
Il giovane fissò in un silenzio stupefatto il padre stentando ancora a credere d'avere ottenuto il suo consenso. 
«Poiché a Zehdûm non avremo altre distrazioni, potremo godere della reciproca compagnia e, magari, riuscire a colmare quel baratro che ci divide», aggiunse Mazdraan rivolgendogli un affascinante sorriso. «Credo comunque che questi tuoi eccellenti propositi vadano ricompensati: ho un regalo per te», precisò.
«Un ... regalo per me?», balbettò Uszrany sbalordito.
«Qualcosa da obiettare?», domandò Mazdraan lasciando trapelare una nota di durezza nella voce. 
Uszrany sussultò temendo di averne provocata la collera senza nemmeno essersene reso conto. Non si sarebbe mai sognato di contestare una sua decisione ma trovava strano che a suo padre fosse balzato in mente di regalargli qualcosa per ricompensarlo di buoni propositi dei quali, solo fino a un istante prima, ignorava l'esistenza. 
«Potresti smettere di fissarmi con quell'aria ebete e aprirlo», sbuffò Mazdraan. «Non morde», aggiunse con un sorrisetto per rassicurarlo. 
«Mi restituisci la spada?», chiese Uszrany fissandolo esterrefatto.
«A una condizione. Riterrò il maestro d'armi responsabile in prima persona della tua vita: sarà punito per ogni singolo graffio che tu ti possa procurare o per ogni piccolo incidente che ti potrebbe … casualmente accadere. Ti è chiaro il significato delle mie parole o hai bisogno che sia più esplicito?», domandò in tono ironico.
«Poichè mi hai concesso la tua fiducia permettendomi di andare a Zehdûm, ti do la mia parola che non metterò in pericolo un'altra vita solo perché provo il desiderio di liberarmi della mia e che non tenterò la fuga», promise seriamente Uszrany guardandolo dritto negli occhi.
«Il nobile Cavaliere di sempre!», commentò Mazdraan con sarcasmo. «Se non fosse per Dahrmys, non ci sarebbe parola d'onore o giuramento così vincolante da impedirti di fuggire. Non hai già accantonato un giuramento di sangue per salvare la vita di Fahryon?», chiese malizioso.
Uszrany contrasse la mascella cercando di dominarsi. «Mi è difficile non reagire, quando tu deridi tutto ciò in cui credo: non mi resta che la mia parola d'onore».
«E la tua spada», insinuò Mazdraan. «Anche se è un po' diversa da prima», aggiunse indicandogli l'elsa. 
«La stella di smeraldi di Xhanys? Ma perché hai fatto inserire quel ciondolo nella mia spada?», domandò Uszrany sempre più stupefatto. 
«Mi dava fastidio quel buco che tu ti eri ostinatamente deciso a lasciare vuoto. Osserva quella linea e l'incrocio di questi due arabeschi con la testa dell'aquila: tua madre aveva fatto un disegno perfetto per quest'elsa e non mi pareva giusto rovinare l'insieme solo per una ridicola testardaggine, tanto più che quel pendente vi si adatta perfettamente», spiegò Mazdraan.
«Allora sei venuto a capo del mistero?», domandò Uszrany.
«Non ho risolto il problema e il tuo contributo non è stato certo determinante», commentò Mazdraan sarcastico.
«Ti ho già ripetuto fino alla nausea che non so né perché Tyrnahan abbia dato a Fahryon il ciondolo di Xhanys, né quando glielo abbia dato! Lo hai potuto constare tu stesso con la Malia!», sbottò Uszrany esasperato.
«Lo so, ma non sei anche tu dell'opinione che questo gioiello non abbia alcun nesso apparente con ... la nostra storia?», domandò Mazdraan in tono interessato.
Uszrany, continuando a fissarlo incredulo e nervoso, si limitò a fare un piccolo cenno di assenso mentre tornava a sedersi sul divano.
Aveva già imparato a proprie spese che il nobile Mazdraan agiva solo mosso da uno scopo preciso e perciò sarebbe stato più sicuro tenere la bocca chiusa piuttosto che lasciarsi invischiare in una conversazione, per quanto innocente potesse sembrare.
«Xhanys mi disse d'avere sempre avuto al collo questo pendente, prima ancora che sua madre morisse e so perfettamente che non ha alcun potere magico», riprese Mazdraan in tono pensieroso. «Non ritieni assurdo che Tyrnahan, sapendo di dover morire, si sia preoccupato di questo gioiello? O forse lui possedeva un'informazione particolare a proposito di questa stella, un segreto del quale nemmeno Xhanys era a conoscenza perché, altrimenti, lei me lo avrebbe rivelato. Però, se era così importante, perché Fahryon non ha preso la scatola prima di fuggire e non ha mai tentato di rientrarne in possesso?», si chiese in tono perplesso, fissandolo però intensamente.
«Non so cosa risponderti, nobile padre», mormorò Uszrany, distogliendo lo sguardo.
Si sentiva molto confuso e la sensazione d'inquietudine, che l'inconsueto atteggiamento garbato di suo padre gli procurava, aumentava a ogni istante. 
«Beh! Continuare a porsi domande sull'argomento non serve a nulla!», sospirò Mazdraan scuotendo la testa. «Spero solo di averti fatto un dono gradito, Uszrany», concluse sorridendogli con gentilezza.
«Ti ... ti ringrazio, è veramente molto bello», balbettò Uszrany riconoscente ma sempre più assente. «Comunque non ti saresti dovuto privare di ... un ricordo così personale», aggiunse con un filo di voce appena udibile.
Si appoggiò allo schienale fissandolo con sguardo vacuo mentre sentiva la sua volontà scivolare via poco per volta, attirata dai sinistri bagliori del Cristallo al centro del candido medaglione d'avorio di suo padre. Sbatté le palpebre alcune volte finché, vinto dalla stanchezza li chiuse, senza sentire più nulla che non fosse il suono dolce e suadente della voce di Mazdraan.
«Mi spiace dover ricorrere a questo sistema così radicale, Uszrany, ma purtroppo Tyrnahan non mi ha lasciato altra scelta. Vorresti essere così gentile da raccontarmi con precisione tutti gli avvenimenti accaduti da quando sei entrato alla locanda, figliolo?», chiese Mazdraan. 

Estratto dal capitolo 5 Il Risveglio

Il tumulto che udiva e che provava cessò. Fahryon, stordita da quell'improvvisa calma, attese qualche istante con il cuore che batteva all'impazzata; poi, rialzò cautamente il capo, trattenendo il fiato per lo spavento e per lo stupore.
Tranquillamente accovacciato al centro di una grotta ottagonale, un enorme drago, dal corpo ricoperto di squame lucenti e iridescenti, la stava squadrando con un'espressione di divertimento misto a insofferenza. 
Era un'assurdità, un parto della sua fantasia: i draghi esistevano solo nelle saghe, nelle leggende e nelle favole, tentò di convincersi Fahryon.
Nonostante la rassicurante logica di quella constatazione, però, non riuscì a scacciare l'inquietudine che quel mostro le procurava.
Il drago scosse la testa con disappunto distendendo le smisurate ali per qualche istante; poi, si sollevò sulle zampe posteriori.
«Non esiste davvero? Ne sei certa?», chiese la voce in tono sinceramente stupito.
Il mostro parve sogghignare, emise dal naso un sibilo d'indignazione e uno sbuffo di fumo avvolse completamente Fahryon, facendole lacrimare gli occhi e soffocandola con il suo acre odore di zolfo.
Il drago esisteva davvero e Fahryon doveva trovare il modo per andarsene da lì, al più presto. 
«Questo posto appartiene al drago e solo lui può concederti di uscirne. Prova a chiedergli d'indicarti la via», rispose la voce con ironia.
Fahryon osservò il drago con scetticismo: dubitava che quel mostro sapesse usare il cervello oltre alle mandibole.
Il drago, offeso, portò il muso all'altezza del suo viso e le scoccò un'intensa e feroce occhiata: sibilò pericolosamente soffiando spire di fumo dalle nari, che si avvolsero su se stesse come tanti serpentelli. Fahryon trasalì, costretta ad ammettere che il drago non solo era capace di pensare ma anche di leggere i suoi pensieri. 
L'animale, soddisfatto, riprese la sua iniziale posa solenne e rimase immoto a scrutarla con i suoi occhi neri e profondi, muovendo solo di tanto in tanto la coda con indolenza. 
«Se imparerai a conoscerlo, non dovrai più averne timore», la rassicurò la voce.
Benché titubante e diffidente, Fahryon sollevò lo sguardo e, incrociato quello terribile del drago, lo fissò a sua volta rimanendone ipnotizzata, mentre rivoli di sudore freddo le colavano giù per la schiena.
Gli occhi del drago la scrutarono, indagatori e implacabili poi, come delle fiere che avessero fiutato la pista di una preda, si gettarono su di lei. Fahryon, terrorizzata, scappò per sottrarsi ai fuochi seducenti e sfolgoranti che volevano sondare la densa e profonda oscurità del suo animo e che la inseguivano senza posa. Nell'istante stesso in cui quegli occhi la ghermirono, Fahryon non riuscì più a distinguere il mostro da sé e, come se per un attimo fuggevole fossero diventati un essere solo, l'istinto violento dell'animale la pervase, facendo scorrere più velocemente il sangue nelle sue vene e accendendo in lei un intenso brivido di vitalità. Sentì allora il suo tremito di paura tramutarsi nel senso di trionfo e di eccitazione del drago per averla in suo potere e si ribellò incalzandolo a sua volta con ferocia. Poco dopo, i ruoli s'invertirono nuovamente e poi ancora, in un'alternarsi estenuante di trepidazione ed ebbrezza, finché Fahryon si accasciò a terra stremata e ansante, incapace di comprendere dove quel folle inseguimento avesse realmente avuto luogo: ricordava però di aver già provato quel genere di sentimenti e di emozioni. 
«Quando?», domandò la voce.
La giovane donna scosse la testa: non lo sapeva ...
«Non lo sai? Ne sei certa ... Fahryon?», chiese la voce.
Fahryon alzò di scatto il capo: quella voce l'aveva chiamata Fahryon.
Nella sala, fastosamente decorata e affollata di spettatori elegantemente vestiti, si diffondeva la musica accorata e malinconica del canto della regina Elavnys. Nella sua mente poco per volta le note del canto si affievolirono fino a spegnersi.
Fahryon!
Quel nome l'aveva destata dagli inganni della Malia di Kahvjai!
Poi, lei lo aveva ucciso con la sua Armonia ed era in quell'istante che aveva provato la stessa eccitazione del drago!
Quando aveva affrontato il Reggente uccidendolo, le si era svelata una parte di sé che agiva per istinto e che non era stata in grado di controllare. C'era una parte oscura di sé, nella quale non era mai stata costretta a guardare e che, nel momento del pericolo, era affiorata con prepotenza in superficie; ma era in essa che aveva trovato la forza per difendersi e per distruggere. Ne aveva provato un tale terrore da decidere inconsapevolmente di negarla, di cancellarla del tutto.
Fahryon alzò lo sguardo e incontrò gli occhi enigmatici del drago e, per la prima volta, non provò disagio. Il drago allargò maestosamente le ali e la fissò agitando vigorosamente la lunga e possente coda, mentre emetteva sibili sempre più minacciosi.
Fahryon lo osservò pensierosa. Al mostro sarebbe bastato puntare contro di lei uno solo dei suoi artigli per annientarla, ma non l'aveva ancora fatto. Una ragione doveva pure esserci. 
«Quale è il significato dell'Uroburo, Fahryon?», le domandò la voce.
L'Uroburo era il simbolo dell'eterno fluire del Tempo, della continuità della vita e del mondo creato: nel cerchio dell’Uroburo Suono e Silenzio, Luce e Oscurità, Vita e Morte nascevano uno dall'altro e non sarebbero mai esistiti uno senza l'altro. Il Magh doveva penetrare nel nucleo, in apparenza vuoto e oscuro, dell'Uroburo per giungere alla Conoscenza del Mistero del Suono Sacro, dove gli opposti si conciliavano nell'Unità del molteplice. 
Fahryon tornò a fissare il drago che la osservava con espressione subdola, mettendo in mostra le sue zanne acuminate. Il mostro avanzò di alcuni passi, facendo tremare il terreno sotto i suoi piedi, fino a incombere minacciosamente su di lei. Fahryon, soffocata e spaventata dall'intensità dell'odio e dell'ira che sentiva ribollire dentro lo sguardo minaccioso del drago, tentò di sottrarvisi ma non vi riuscì. Allora comprese.
Negli occhi terrificanti del drago vedeva riflessi i sentimenti brutali e violenti che si agitavano in lei. Suono e Silenzio, Luce e Oscurità: quello era l'Uroburo e lei doveva accettare che quegli opposti facessero parte di lei e cercare di metterli in equilibrio. 
«Dove ti hanno condotto le scelte che hai compiuto, Fahryon?», chiese la voce.
La scelta di negare una parte di se stessa per non soffrire l'aveva portata nel labirinto del Vuoto; quella di ascoltare le voci che parlavano al suo cuore in quella grotta, custodita dal drago. 
La giovane donna lasciò scorrere lo sguardo attorno a sé.
I draghi nelle leggende vegliavano sui tesori ma lì non c'era assolutamente nulla all'infuori di lei e lei non possedeva nulla di più prezioso oltre se stessa.
Quella grotta era dunque il suo cuore!
Ognuno compiva le sue scelte determinando il suo cammino: lei nel giardino delle erbe profumate aveva scelto e poi, al Santuario, aveva riconfermato il cammino della Conoscenza, causando involontariamente la rovina della sua famiglia. Era un essere umano, aveva dei limiti e non poteva combattere contro la volontà e le scelte del nobile Mazdraan. Ora comprendeva che nemmeno la confessione di Tyrnahan avrebbe mai potuto distogliere il padre di Uszrany dal cammino che lui si era scelto e che perseguiva con determinazione. Nessuno avrebbe mai potuto salvare la sua famiglia, anche se lei lo aveva creduto possibile. Anche Kahvjai aveva scelto e ora Fahryon sapeva di non averlo ucciso con la sua Armonia: il Reggente, ricusando in punto di morte il Mistero del Suono Sacro per il Silenzio e l'Oscurità, aveva compiuto la sua scelta determinando la sua condanna per l'eternità.
«Tu hai ancora la possibilità di scegliere, Fahryon, ma questa volta la tua scelta sarà definitiva», l'ammonì la voce.
La giovane donna trasalì riconoscendo finalmente la voce di Tyrnahan.
«Sì, sono io, Fahryon», confermò la voce dolcemente. «Solo ora anche io ho compreso: il Suono Sacro, tramite le parole di Xhanys, mi aveva indicato la via ma io l'avevo frainteso. Il mio dono era per proteggerti da Kahvjai e poi per accompagnarti alla grotta di questo drago conducendoti sul cammino della memoria: così, insieme abbiamo potuto smantellare il Vuoto nel quale avevi chiuso il tuo cuore carico di dolore. Ma se tu non avessi sondato le profondità del tuo animo prendendo consapevolezza anche dell'esistenza del tuo lato oscuro, non avresti mai potuto trovare l'equilibrio con te stessa necessario per dominare l'Armonia. Però, sei tu che devi scegliere di uscire da questa grotta affrontando il drago», la ammonì con gravità. «Rifletti su ciò che provi e cosa vedi quando i tuoi occhi s'immergono in quelli del drago, Fahryon», la esortò.
La giovane donna gettò un'intimorita occhiata al drago che, immobile al centro della grotta, la fissava enigmatico. Di fronte alla sua incertezza, l'espressione misteriosa negli occhi del drago si tramutò poco per volta in una selvaggia, carica di primitiva forza ferina. Tutto l'iridescente corpo del mostro fremette, scosso dal desiderio d'impadronirsi di lei e, pregustando il sapore del suo trionfo, iniziò ad avanzare determinato. Fahryon arretrò terrorizzata interrrogandosi freneticamente su cosa avesse visto quando era riuscita a sua volta a scrutare nell'immensità di quegli abissi.
«Fahryon!», esclamò ad alta voce con esultanza.
Il drago si bloccò sorpreso.
«Tu sei me, tu sei la forza e l'istinto che si celano nel cuore d'ogni essere umano, che incessantemente si generano, si distruggono e si rigenerano», gridò in tono vittorioso ed ergendosi con sfida per affrontarlo un'ultima volta. «Riconoscendoti per quello che sei, ti ho domato e non ti temo più. Tu non mi annienterai e non ti servirai di me per distruggere, ma io attingerò alla tua forza per creare, drago, perché ormai tu mi appartieni».
Il drago sollevandosi sulle zampe posteriori spalancò le immense ali, ruggendo la sua rabbia per essere stato soggiogato. Con un fragore, che fece rimbombare la grotta, ripiombò a terra e, dimenando la coda, sibilando furioso nel vedersi sfuggire la preda, si protese, eruttando fuoco dalle fauci e soffiando contro di lei, in un ultimo disperato tentativo di non essere sottomesso.
Fahryon fissò con determinazione gli occhi del drago che brillavano di uno sfavillio sanguinario, consapevole che, se in quell'istante il minimo dubbio o timore avessero incrinato la sua conoscenza, il drago ne avrebbe approfittato a suo vantaggio. Con voce stanca e appannata, intonò l'inno sacro della contemplazione più profonda, che ora poteva sentire risuonare attorno a sé e dilagare nel suo animo e nel suo cuore con esultanza, annullando ogni affanno e apportandovi nuovamente la gioia della consapevolezza di esistere.
Il Suono Sacro del Mondo la accolse, avvolgendola nella Sua Vibrazione vivificante. Fahryon, abbandonandosi fiduciosa a Esso, ne trasse nuova forza e sicurezza per continuare a cantare e il drago lentamente si dissolse nella calda polla d'acqua sorgiva del Santuario, inondata dalla rosea luce dell'aurora. 
Il suo viaggio era compiuto: Fahryon era rinata sbocciando al calore del sole dell'Astahzar, il Risveglio del Mondo, l’equinozio di Primavera.

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