BLOG TOUR per "LA CITTA DI OTTONE" di S. A. Chakraborty: ambientazione storica


EGITTO, XVIII SECOLO. 
Nahri non ha mai creduto davvero nella magia, anche se millanta poteri straordinari, legge il destino scritto nelle mani, sostiene di essere un’abile guaritrice e di saper condurre l’antico rito della zar. Ma è solo una piccola truffatrice di talento: i suoi sono tutti giochetti per spillare soldi ai nobili ottomani, un modo come un altro per sbarcare il lunario in attesa di tempi migliori.

Quando però la sua strada si incrocia accidentalmente con quella di Dara, un misterioso jinn guerriero, la ragazza deve rivedere le sue convinzioni. 

Costretta a fuggire dal Cairo, insieme a Dara attraversa sabbie calde e spazzate dal vento che pullulano di creature di fuoco, fiumi in cui dormono i mitici marid, rovine di città un tempo maestose e montagne popolate di uccelli rapaci che non sono ciò che sembrano. 
Oltre tutto ciò si trova Daevabad, la leggendaria città di ottone. Nahri non lo sa ancora, ma il suo destino è indissolubilmente legato a quello di Daevabad, una città in cui, all’interno di mura metalliche intrise di incantesimi, il sangue può essere pericoloso come la più potente magia. 
Dietro le Porte delle sei tribù di jinn, vecchi risentimenti ribollono in profondità e attendono solo di poter emergere. L’arrivo di Nahri in questo mondo rischia di scatenare una guerra che era stata tenuta a freno per molti secoli.

S. A. Chakraborty
LA CITTA' DI OTTONE
Serie: Trilogia Daevabad #1
Editore: Mondadori
ISBN: 9788804723707
528 pagine
Prezzo: € 22,00
In vendita dal 9 giugno 2020

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Non posso ancora parlarvi di questo libro (b.e.l.l.i.s.s.i.m.o), ma posso approfondire uno degli aspetti senza dubbio più affascinanti, ovvero il suo inserirsi nella storia.

Anche se è un libro di puro fantasy, infatti, la collocazione storica di partenza è precisa.
Certo, la vicenda si svolge in una città magica e in un regno immaginario oltre il velo, ma quando Nahri conduce la sua misera (e pericolosa) vita da praticona-ladruncola, ancora tra gli uomini, lo fa al Cairo, nell'Egitto del XVIII secolo, in piena campagna francese.

Ora, se recuperate qualche reminiscenza scolastica, rammenterete che per tra il 1798 e il 1801 i francesi, guidati proprio da Napoleone, sbarcarono prima ad Alessandria con la famosa Armata d'Oriente e poi iniziarono una lunga serie di scontri contro i mamelucchi al fine di cacciarli dall'Egitto. In quel periodo l'Impero Ottomano viveva una profonda fase di declino, di cui i francesi approfittarono.
Per questo Nahri ha come clienti vari pascià turchi, ma desidera entrare a contatto con i francesi, che, si dice, si trovino in condizioni economiche migliori e siano più generosi.

Siamo nel periodo in cui gli archeologi francesi (ma anche inglesi) stanno setacciando e depredando i tesori dei faraoni, si scopre la stele di Rosetta, l'Europa si entusiasma per lo stile "egiziano" e per tutto ciò che ha a che fare con piramidi, maledizioni e mummie.

Ebbene, l'autrice riesce nell'impresa di regalarci una visione vivida de Il Cairo: una città popolosa, calda, con quartieri dove dove si accalcano egiziani, ebrei, orientali, arabi e turchi, dove i muezzin chiamano alla preghiera, dove ci si orienta in un labirinto di vicoli sporchi e pericolosi guardando la posizione delle cupole delle moschee o le mura dell'immenso cimitero di terra, dove riposano i morti più poveri, ma dove possono annidarsi anche i goul.

E anche quando deve descrivere la mirabile Città di Ottone, l'autrice non fa che immaginare un luogo non umano che è speculare a quello umano, con esseri magici che seguono la medesima religione delle terre in cui vivono, non visti e non percepiti.

«Ci divise in sei tribù.» Indicò una donna pallida che pesava monete di giada all’estremità orientale della mappa, che forse era la Cina. «I tukharistani.» Poi indicò, a sud, una danzatrice ingioiellata che roteava su se stessa nel subcontinente indiano. «Gli agnivanshi.» Un minuscolo cavaliere sbucò dal fumo e attraversò al galoppo l’Arabia meridionale brandendo una spada infuocata. Dara strinse le labbra e, schioccando le dita, gli mozzò la testa. «I geziri.» 
Nel sud dell’Egitto, uno studioso dagli occhi dorati si gettò sulla spalla una sciarpa brillante color verde-azzurro mentre esaminava un rotolo. Dara fece un cenno col capo in quella direzione. «Gli ayaanle» disse, e poi additò un uomo dai capelli color fuoco che riparava una barca sulla costa del Marocco. «I sahrayn.» 
«E il tuo popolo?» 
«Il nostro popolo» la corresse lui e indicò le pianure di quella che a lei sembrava la Persia, o forse l’Afghanistan. «Il Daevastana» disse con calore. «La terra dei daeva.» 
Lei corrugò la fronte. «La tua tribù prese il nome originario di tutta la razza daeva?» 
Dara si strinse nelle spalle. «Comandavamo noi.»

Amarilli


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