Pensieri e riflessioni su "Il gusto proibito dello zenzero" di Jamie Ford

Titolo: Il gusto proibito dello zenzero
Autore: Jamie Ford 
Editore: Garzanti libri
Collana: Narratori moderni
ISBN: 8811681685
ISBN-13: 9788811681687
Pagine: 372

Sinossi:
Seattle. Nella cantina dell'hotel Panama il tempo pare essersi fermato: sono passati quarant'anni, ma tutto è rimasto come allora. Nonostante sia coperto di polvere, l'ombrellino di bambù brilla ancora, rosso e bianco, con il disegno di un pesce arancione. A Henry Lee basta vederlo aperto per ritrovarsi di nuovo nei primi anni Quaranta. L'America è in guerra ed è attraversata da un razzismo strisciante. Henry, giovane cinese, è solo un ragazzino ma conosce già da tempo l'odio e la violenza. Essere picchiato e insultato a scuola è la regola ormai, a parte quei pochi momenti fortunati in cui semplicemente viene ignorato. Ma un giorno Henry incontra due occhi simili ai suoi: lei è Keiko, capelli neri e frangetta sbarazzina, l'aria timida e smarrita. È giapponese e come lui ha conosciuto il peso di avere una pelle diversa. All'inizio la loro è una tenera amicizia, fatta di passeggiate nel parco, fughe da scuola, serate ad ascoltare jazz nei locali dove di nascosto si beve lo zenzero giamaicano. Ma, giorno dopo giorno, il loro legame si trasforma in qualcosa di molto più profondo. Un amore innocente e spensierato. Un amore impossibile. Perché l'ordine del governo è chiaro: i giapponesi dovranno essere internati e a Henry, come alle comunità cinesi e, del resto, agli americani, è assolutamente vietato avere rapporti con loro. Eppure i due ragazzini sono disposti a tutto, anche a sfidare i pregiudizi e le dure leggi del conflitto. 

Il pensiero di Annachiara:
Il gusto proibito dello zenzero è un romanzo del 2009 di Jamie Ford, pubblicato in Italia, l’anno successivo, da Garzanti. Vincitore di numerosi premi in patria, tradotto in 17 lingue, è stato recentemente adattato per il teatro, ottenendo un discreto successo. 

La storia si svolge nel 1942, durante la seconda guerra mondiale: a Seattle la guerra viene vissuta solo attraverso la radio e le notizie dei giornali, eppure le conseguenze del conflitto pesano su tutti, e su alcuni più che su altri. 
Protagonisti di questo romanzo sono Henry, ragazzino cinese costretto a dividersi tra la sua famiglia, di forti ideali nazionalistici, e il mondo americano che vive fuori di casa, fatto di maltrattamenti a scuola, ma anche di locali e Jazz per le vie; e Keiko, ragazza di etnia giapponese ma americana di nascita, che deve affrontare il razzismo dei suoi connazionali per via del suo aspetto. I due si conosceranno a scuola e, nonostante l’iniziale diffidenza, svilupperanno una forte amicizia prima e qualcosa di più poi che porterà sopratutto Henry ad interrogarsi su cos’è giusto e a prendere coscienza delle proprie scelte e della propria vita. 

“Schiacciati tra due fogli c'erano dei fiori di ciliegio, vecchi e seccati, scuri e fragili. Frammenti di qualcosa che un tempo era stato pieno di vita.” 

La vicenda inizia nel 1986 quando, nello scantinato dell’Hotel Panama di Seattle, vengono ritrovati decine di bauli lasciati più di quarant’anni prima dalle famiglie Giapponesi, costrette a lasciare le proprie case e a risiedere in campi di prigionia nell’interno del paese per favorire la “sicurezza nazionale”. 
Henry, cinquantenne vedovo da pochi mesi, rimane sconvolto da quel ritrovamento, che gli riporta alla mente più di un ricordo della sua adolescenza… 
Narrata il prima persona dallo stesso Henry, la storia alterna capitoli ambientati nel 1986 ad altri, più frequenti, che ci trasportano nel pieno delle vicende, proprio nel 1942, quando Henry conosce Keiko. 

Ciò che colpisce di questo libro è l’accurata ricostruzione storica di luoghi ma soprattutto avvenimenti che noi europei conosciamo poco, se non per nulla. Quanti di voi sapevano che, durante la guerra, gli americani di etnia giapponese furono “deportati” e imprigionati? Quanti erano a conoscenza dell’ostilità dei bianchi verso di loro, della chiusura e ghettizzazione che subirono per via del loro paese d’origine? Io, per esempio, non immaginavo nulla, o quasi. E la narrazione di queste vicende, la loro descrizione oggettiva (è lo stesso scrittore, in un’interessante intervista alla fine del libro, a dichiarare di aver voluto evitare, per quanto possibile, di dar giudizi morali), è stata per me molto preziosa perché istruttiva. 

In aggiunta a ciò, le descrizioni della Seattle degli anni ’40, con i suoi locali di Jazz, i suoi quartieri razziali e le sue strade trafficate, sono terribilmente vivide e colpiscono il lettore. Sembra davvero di ritrovarsi in quei luoghi, di passeggiare con i protagonisti e di respirare la stessa aria. 

Purtroppo, il tallone d’Achille di questo romanzo è proprio nella storia. 
Questa procede piuttosto per inerzia per tutta la prima metà del libro: gli avvenimenti rilevanti sono molto scarsi e qua e là serpeggiano perfino momenti di noia. Tutto concentrato nello sforzo di dare questa vivida descrizione della realtà di cui parlavamo prima, lo scrittore si prende il suo tempo e quasi dimentica di far progredire la trama che sonnecchia, svegliata di tanto in tanto da pochi episodi importanti. Inoltre, non è neanche aiutato da un solido stile di scrittura che, anzi è piuttosto freddo e distaccato, nonostante la focalizzazione interna sul protagonista, e non riesce a coinvolgere il lettore come dovrebbe, trattandosi, fondamentalmente, di una storia d’amore. 

“E mentre ascolti questo disco, spero che ripenserai non alle cose brutte, ma alle belle. A ciò che è stato, non a quello che avrebbe potuto essere. Al tempo che trascorremmo insieme, non a quello in cui fummo separati. Ma, soprattutto, spero che penserai a me...” 

Sul finale si riprende, giusto un po', con un ritmo lievemente in crescendo, ma la conclusione era in qualche modo assai prevedibile e scontata e resta un retrogusto di banale che rovina anche gli ultimi capitoli. E oltre questo, lascia anche (ma non lo definirei propriamente un difetto) un po' di amaro in bocca per una conclusione annunciata in partenza e del tutto coerente ma non completamente felice. 

Tirando le somme, questo è certamente un romanzo che mi sento di consigliare, non fosse altro che per le narrazioni sui campi giapponesi, e resta comunque una lettura molto piacevole, non particolarmente pesante ma capace di mantenere un minimo di spessore per tutta la narrazione.
Non eccezionale, ma da leggere.
Annachiara

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