Pensieri su "LE VEDOVE DI MALABAR HILL" di Sujata Massey


 
Bombay, 1921. Figlia di una rispettabile famiglia parsi, Perveen Mistry è da poco entrata a far parte dello studio legale del padre, situato in un elegante edificio nel quartiere del Fort, l'insediamento originario di Bombay. Laureata in legge a Oxford, oltre alle funzioni di procuratore legale, la giovane donna svolge anche quelle di segretaria, traduttrice e contabile. Ma non può certo lamentarsi: nessun altro studio legale in città sarebbe disposto ad assumere un'avvocatessa. Incaricata dal padre di eseguire il testamento di Mr Omar Farid, un ricco musulmano che ha lasciato tre vedove, Perveen si trova al cospetto di tre "purdahnashin", donne che non parlano con gli uomini e vivono in isolamento, musulmane ricche e in clausura che potrebbero rappresentare un'eccellente opportunità da un punto di vista professionale. Sfogliando, tuttavia, il carteggio relativo all'eredità, qualcosa di strano salta agli occhi dell'avvocatessa: in una lettera scritta in inglese, Faisal Mukri, amministratore dei beni della famiglia Farid, comunica che, su espressa richiesta delle tre donne, la rendita che, secondo le disposizioni patrimoniali, spetterebbe a ognuna di loro, va devoluta al "wakf" un fondo di beneficenza. Una richiesta davvero singolare, considerato che le tre "purdahnashin" rinuncerebbero in tal modo ai loro unici mezzi di sostentamento dopo la morte del loro marito; una richiesta, inoltre, che due delle firme apposte alla lettera, pressoché identiche, rendono a dir poco sospetta. Convinta che le tre vedove stiano subendo il raggiro di un uomo senza scrupoli, Perveen si reca a casa Farid per appurare la veridicità di quel documento. Giunta però nella ricca dimora del defunto Mr Farid, si imbatte nel corpo senza vita di Faisal Mukri. Dalla gola dell'amministratore sporge un coltello argenteo e il sangue inonda la nuca e il collo. Che anche le tre purdahnashin siano in pericolo di vita? Ispirato alle prime avvocatesse indiane: Cornelia Sorabji, prima donna a frequentare legge a Oxford nel 1892, e Mithan Tata Lam, prima donna ammessa al foro di Bombay nel 1923, il personaggio di Perveen Mistry annuncia l'entrata in scena di una nuova, formidabile investigatrice e il debutto di una serie ambientata nella Bombay degli anni Venti, una metropoli abbagliante in cui suoni, odori e colori di mille comunità danno vita a un luogo dall'anima unica e irripetibile.


Autrice: Sujata Massey
Le vedove di Malabar Hill
Serie: Le inchieste di Perveen Mistry #1
Editore: Neri Pozza
Pagine 446
Uscita: settembre 2018



Sapete quando un romanzo vi colpisce dalla cover, scoprite che la protagonista vi è affine per molti aspetti, poi iniziate a leggere e vi ritrovate invischiati nella storia senza alcuna voglia di uscirne?
Ebbene, per me Perveen Mistry, ma soprattutto lo stile narrativo di Sujata Massey, sono stati un vero e proprio colpo di fulmine.

La Massey ha la capacità di dipingere un'ambientazione esotica (e per me sconosciuta) come l'India degli anni '20 (divisa tra Impero coloniale inglese e gli staterelli principeschi dei maharaja, ricca di conflitti politici e religiosi, con l'ascesa delle idee dirompenti di Gandhi sullo sfondo) con una naturalezza tale che dopo un po' ti sembra di camminare per il Fort, il quartiere facoltoso di Bombay, o di visualizzare la vita quotidiana tra arredi, stoffe, vestiti e cibo. Per quanto vengano mantenuti molti termini originari e alla fine vi sia un'utile legenda, il racconto scorre veloce e intrigante.

A quella che è una tradizionale trama investigativa, inoltre, vengono aggiunte un'accurata ricostruzione sociale e una protagonista che attira subito le simpatie.

Perveen è la figlia minore della ricca famiglia Mistry, appartenente alla minoranza parsi (quindi di origine iraniana e di religione zoroastriana) colta e ricca.
Il padre è un avvocato e incoraggia la figlia a studiare, ma non è facile: non solo è la prima studentessa di legge a Bombay, ma le donne in quel periodo non possono neppure patrocinare nei tribunali.
Perveen è inizialmente annichilita dalla misoginia dell'ambiente, si arrende e cede a un matrimonio frettoloso, credendo che una ragazza non possa aspirare di più. 
Ma neanche un destino ordinario riesce a soffocare quelli che sono i sogni di una ragazza brillante e decisa a farsi strada. Arrivano Oxford e l'Inghilterra, arriva il ruolo di socia con suo padre e i primi veri casi strettamente civili. 
In quanto donna, in effetti, le vengono affidati contratti e testamenti, finché una semplice consulenza legale non la porta sul luogo di un delitto, scatenando per la prima volta il suo acume.

Mi è piaciuta molto l'idea di tratteggiare un lavoro di investigazione ostacolato dai tempi, dalla mancanza di mezzi tecnici agli impedimenti sociali: lei è donna, non è inglese, deve conformarsi di continuo ai precetti della sua comunità. Eppure non demorde: agisce, s'intromette, osa.

Non appena concluso, non vedevo l'ora di cominciare il secondo libro della serie. 
Consigliato ai giallisti, ma anche agli appassionati di romanzi storici.

Amarilli

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