Pensieri su "Solo il mimo canta al limitare del bosco" di Walter Tevis



Siamo nel 2467 e da diverse generazioni sono i robot a prendere ogni decisione, mentre un individualismo esasperato regola la vita dell'uomo: la famiglia è abolita, la coabitazione vietata e ogni persona assume quotidianamente un mix di psicofarmaci e antidepressivi. I suicidi sono in aumento, non nascono più bambini e la popolazione mondiale sta avviandosi all'estinzione. Simbolo e guardiano dello status quo è Spofforth, androide di ultima generazione che agogna un suicidio che gli è però impedito dalla sua programmazione. 
A lui si contrapporranno Paul Bentley, un professore universitario che, riscoperta casualmente la lettura dimenticata da tempo, grazie ai libri apprende l'esistenza di un passato e la possibilità di un cambiamento, e Mary Lou, che sin da piccola ha rifiutato di assumere droghe pur di tenere gli occhi aperti sulla realtà.Tevis si muove dall'incrocio di queste tre vite creando una distopia postmoderna sulle inquietudini dell'uomo, dove la tecnologia senza controllo si trasforma da risorsa in pericolo.

Prefazione di Goffredo Fofi. 
Con una nota di Jonathan Lethem.

Solo il mimo canta al limitare del bosco
Walter Tevis
Editore: Minimum Fax
Pagine: 343
ISBN-13 : 978-8875216757
Uscita: 24 settembre 2015




Voglio partire dal titolo per parlare di questo libro straordinario, perché ci sarebbe così tanto da dire e tutto mi si affolla in testa, così parto dalle prime parole che incontro, il titolo appunto.

Versione originale: Mockingbird,
Prima traduzione: Futuro in trance, adeguato ma non certo poetico
E infine la magnifica idea di utilizzare sia l’accenno diretto all’originale e sia una frase che si ripete molto spesso nel testo, ovvero: Solo il mimo canta al limitare del bosco

La parola Mockinbird l’avevo già incontrata in un altro celebre libro To kill a mockinbird poi tradotto incomprensibilmente in IL buio oltre la siepe, quindi sapevo che parlavamo di un uccellino, il mimo appunto, perché imita le voci degli altri uccelli.

L’accenno al mimo è palese in uno dei protagonisti di questa storia, l’androide di classe Nove (la più alta mai costruita) Spofforth, triste e malinconico a causa di quel residuo di umanità che gli è stato inserito per sua grande disgrazia nel momento della sua costruzione, un ibrido, non uomo, non completamente macchina che tutto ricorda, sa e tutto può tranne l’unica cosa che desidera davvero, smettere di funzionare, suicidarsi.

Le macchine sono progettate seguendo le tre leggi della robotica di Asimov.
E’ importante ribadirlo perché all’interno della storia ci sono accenni fondamentali a queste tre regole basiche e questa mancanza potrebbe compromettere la comprensione delle dinamiche uomo/robot.

Quindi rieccole e per quei biasimevoli :) lettori che non conoscessero Asimov, eccole:
1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.

2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge.

3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.


Sempre tornando al titolo, è una frase che viene ripetuta spesso nel libro, frase letta in un film muto da 
Paul Bentley, l’unico uomo in grado di leggere, incredibile eppure vero; infatti ecco, in breve, lo scenario in cui ci troviamo:

  • anno: 2467 ma Le popolazioni del mondo di Tevis non hanno contezza di date e appunto, non sanno leggere.
  • Vengono tenuti in gran conto i seguenti valori: Privacy, sesso veloce, cortesia obbligatoria, asservimento alle droghe.
  • Nel corso dei secoli è stato inculcato, per motivi che si svelano nel libro, il rigetto alla famiglia, l’amicizia, l’amore.
  • Massime: “Non chiedere, rilassati”, “la solitudine è meglio”, “il sesso svelto è meglio”.

Paul Bentley per caso trova la sua stele di Rosetta in un libro per bambini e una videolezione che lo porteranno a imparare a leggere e così a scoprire la meraviglia di quei segni fino a quel momento senza senso, in particolare si imbatte in vecchissimi film muti ed è proprio da uno di quei film che lui incontra la frase che dà il titolo al romanzo e la ripete perché lo fa stare bene, anche se non sa il perché, il cinema e la letteratura come rivalsa, inoculo di nuove incredibili, affascinanti idee.

I film sono spesso affascinanti. Ne ho già proiettati tanti che non saprei contarli, e ne restano ancora di più. Sono tutti in bianco e nero, e hanno tutti i movimenti a scatti dell'enorme scimmione del Ritorno di King Kong. È tutto strano, non solo il modo in cui si muovono e reagiscono i personaggi. C'è - come dire? - un senso di partecipazione, come di grandi ondate di sentimento. Eppure a volte non riesco a capirli: è come se mi trovassi davanti a una pietra levigata. Naturalmente, non so che cosa è un «mimo». O cosa significhi «Dr.». Ma non è questo soltanto che mi turba; c'è qualcosa di più della stranezza, del senso di antichità della vita che presentano. È l'allusione a sentimenti che mi sono del tutto sconosciuti... sentimenti che tutti gli spettatori antichi provavano un tempo, e che adesso sono perduti per sempre. Ciò che provo più spesso è un senso di tristezza. 
Tristezza. «Solo il mimo canta al limitare del bosco». 
Tristezza.


E infine la nostra eroina, Mary Lou, ribelle e indomita che capisce l’assurdità che ha davanti, non si assoggetta alla morale comune e cerca con la sua testa il frutto proibito della conoscenza, come una novella Eva, una donna che scardina le barriere mentali inculcatele dalla società in cui vive che sarà la nuova speranza e progenitrice di nuove genesi e comportamenti, in una fantascientifica rappresentazione del mito della caverna di Platone.

Un libro pieno di poesia, in un mondo dove non legge più nessuno. I testi che Tevis ci propone, attraverso i suoi protagonisti, sono densi di distruggente amore per la parola scritta, frasi da tatuarsi nel cuore per la loro profonda bellezza.

Noi siamo gli uomini vuoti,
Noi siamo gli uomini impagliati
appoggiati gli uni agli altri
con le teste piene di paglia.

Ahimé!

Le nostre voci aride quando bisbigliamo insieme
sono smorzate e insignificanti
come il vento tra l'erba secca.


Così un libro dove suicidarsi è la norma, risulta essere un inno alla vita.
Un libro dove quasi nessuno sa leggere, è una dichiarazione d’amore per le lettere.
Un libro dove tutto è progettato all’annientamento è un’ode alla speranza.
Un libro che parla di un’era di arrugginita tecnologia è la celebrazione della migliore fantascienza.

[* immagine della card tratta da Gabor Nagy - edizione polacca del libro]

Lucia

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