Pensieri su "Un anno con Salinger" di Joanna Rakoff



Gonna e maglioncino da ragazza perbene, stile Sylvia Plath allo Smith College, ogni mattina Joanna Rakoff si reca sulla Quarantanovesima ed entra nel palazzo stretto e anonimo in cui ha sede l'agenzia letteraria dove lavora. Un'agenzia antica, prestigiosissima, probabilmente la più antica tra quelle ancora in attività nella metà degli anni Novanta a New York. Lì sta seduta tutto il giorno, con le gambe accavallate su una poltroncina girevole a rispondere agli ordini del suo capo, la "direttrice" dalle dita lunghe, snelle, bianche che si accende una sigaretta dietro l'altra con un'enfasi degna di Lauren Bacali. Ogni frase, ogni gesto e commento della direttrice, e di Olivia, Max e Lucy gli agenti, un distillato del fascino démodé dell'Agenzia con le loro presentazioni al KGB Bar, e la loro vita fatta di una sequenza infinita di feste - le rammentano che l'agenzia non è solo un'azienda, ma uno stile di vita, una cultura, una comunità, una casa. Qualcosa di più simile a una società segreta o a una religione, con dei rituali ben definiti e delle divinità da adorare: Fitzgerald, una sorta di semidio; Dylan Thomas, Faulkner, Langston Hughes e Agatha Christie, divinità minori e, alla guida del pantheon, la più pura, assoluta divinità, lo Scrittore rappresentato da sempre dall'agenzia: Jerry, alias J.D. Salinger. Avvezza già all'era digitale dei Macintosh nella New York della metà degli anni Novanta, Joanna viene spedita davanti a un dittafono, un aggeggio degli anni Cinquanta...

Un anno con Salinger
di Joanna Rakoff
Editore: Neri Pozza
Traduttore: Testa M.
Pubblicazione: luglio 2015
ISBN:8854508683
Pagine:287




«Allora» mi disse, accendendosi una lunga sigaretta scura con un gesto che per qualche motivo mi ricordò contemporaneamente Don Corleone e Lauren Bacall. Aveva dita lunghe, snelle, bianche, con le nocche inesistenti e le unghie a forma di ovali perfetti. «Tu sai battere a macchina?».


Tre cose le voglio dire su questo libro.

1) L'ho letto incuriosita dal film hollywoodiano in arrivo, ma mi stupisco su come possano averne tratto una commedia brillante (lo slogan è "Il diavolo veste Prada in versione letteraria").
Di solare questo libro ha ben poco: Joanna, rampolla di famiglia ebrea benestante (lo sottolinea di continuo lei), dopo aver conseguito una prestigiosa laurea in UK torna nell'amata New York per il suo primo lavoro, nella più antica agenzia letteraria, che detiene niente meno che la rappresentanza di Salinger (sì, lui), e dove la direttrice è contraria alla tecnologia (pc, email, fotocopie, ecc.). E dove mettono la nostra eroina a battere a macchina e a smistare la corrispondenza.

2) Se voleva essere un memoir o romanzo di formazione, nuovo mah.
Siamo nel 1996 e Joanna ha giusto l'età che avevo io quando mi sono laureata (io nel 1997), per cui abbiamo fatto pratica/primo lavoro nello stesso periodo.
Immedesimazione? In parte. Per quanto la nostra sia andata a studiare in Europa e sia cresciuta in un ambiente elitario, direi che le ci vuole un po' a svegliarsi fuori, un po' di più di chi non si è mosso più di tanto. Per carità, tutti abbiamo le nostre ingenuità, ma qui credo che si forzi la mano (anche se sul lato amoroso concordo che noi donne smettiamo di credere alle fiabe dopo i 30 anni, se va bene...).
Anche se il (lento) risveglio di Joanna è forse la parte più interessante.


Ma alla fine capii che io per lei ero un ruolo, più che un individuo: quante ne aveva viste di ragazze come me, nei decenni passati all’Agenzia? Decine? Eravamo entità usa e getta, interscambiabili, con le nostre gonne di lana e le cravattine da college, gli occhi lucidi di infantile entusiasmo per i libri. Non sapeva che farsene di noi. In capo a un anno saremmo scomparse.


3) Salinger: qui si da come presupposto che abbiate letto TUTTI i suoi libri e lo conosciate a memoria. Io ho letto (molti anni fa) "Il giovane Holden", quindi in svariati passaggi in cui Joanna si commuove non sono entrata così in empatia. Temo d'aver perso la parte clou del libro.

Ma, in ogni caso, ecco la mesta conclusione: non ho sentito alcuna spinta ad andare a leggermi adesso i libri menzionati. 
Un anno con Salinger, ma non mi ha convinto a leggerlo.

Salinger non era lezioso. I suoi libri non erano nostalgici. 
Non erano favolette su bambini geniali che gironzolavano per le strade della Vecchia New York. 
Salinger non era affatto come me l’ero immaginato. Per niente. 
Salinger era brutale. Brutale, spiritoso e preciso. Lo amavo. Li amavo tutti, quei libri.

Amarilli



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