Pensieri su "Manuale per ragazze rivoluzionarie. Perché il femminismo ci rende felici" di Giulia Blasi



"Siamo arrivate a un punto di svolta: un punto in cui se accettiamo di giocare secondo le regole siamo finalmente ammesse alla mensa dei patriarchi per nutrirci del poco cibo che ci viene allungato. Ma il femminismo non si siede al tavolo con il patriarcato: il femminismo lo rovescia, il tavolo". Questo il messaggio che Giulia Blasi ci lancia dopo aver constatato quanto ancora oggi, nonostante durante il Novecento siano stati fatti enormi passi avanti per le donne, esistano realtà del tutto anacronistiche. È giunto il momento che le ragazze di ogni età raccolgano il testimone delle loro nonne e bisnonne per fare una rivoluzione che ci porti tutti - maschi e femmine - a un mondo in cui parole come carriera, politica, successo non siano appannaggio dei soli uomini e non ci si senta più obbligati ad aderire a modelli patriarcali. Sembra impossibile? Non lo è! 

In questo manuale Giulia Blasi analizza le situazioni che le donne quotidianamente vivono e offre consigli pratici e concreti per mettere in atto un femminismo pieno di ottimismo e spirito di collaborazione, che possa renderci tutti più felici.

Manuale per ragazze rivoluzionarie. Perché il femminismo ci rende felici
di Giulia Blasi
Editore: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
Uscita: ottobre 2020
ISBN: 8817150053
Pagine: 320



Riprendo la rubrica SI/NO di qualche tempo fa perché altrimenti non avrei saputo dove collocare questa lettura: a mio parere è un saggio illuminante e contraddittorio al contempo, uno di quelli che ti fanno dire "però" ma anche stizzire, sia in positivo che in negativo.

Prima di tutto, parte con un vizio di principio, che poi è lo stesso del maschio prevaricatore.
Se ti comporti in un certo modo sei una donna emancipata e intelligente, se invece ritieni di comportarti in modo diverso sei una semplice "complice" del sistema. 
Se fai come l'autrice e le sue seguaci sei un'Ancella, altrimenti puoi essere solo una Marta/una Moglie o (peggio) una Zia (sì, vengono utilizzate proprio le definizioni dell'Atwood).
In altre parole, il libro sostiene (a ragione) che per secoli ci è stato detto come pensare/cosa dire, poi però di fatto ci dice cosa "dobbiamo" pensare/dire per essere femminista; e - attenzione - se concordi con le teorie esposte sei femminista e libera; se (in libertà, direi) ritieni di non aderire, non lo fai perché il cervello ti consente di valutare l'opzione A e la B o la C, ma perché sei già out: non lo sai ma ti hanno cotto il cervello, quindi sei una serva (senza saperlo) del patriarcato.

Due esempi pratici: si cita un articolo dove quattro uomini vengono semplicemente chiamati per nome e cognome, e poi una donna, di cui viene messo in luce, prima ancora del nome, l'essere "donna", quindi l'appartenere a una categoria a sé. La Blasi sostiene dunque che il male è distinguere, diversificare: questi individui valgono a prescindere dal sesso
Come non essere d'accordo?
Peccato che al capitolo dopo parta anche lei con il pippone contro le donne che vogliono essere chiamate presidenti e non presidentesse, direttori e non direttrici, ecc. (l'argomento è trend a mesi alterni anche sulla stampa): ebbene, qui non vale più la teoria di non diversificare, di voler essere ritenuta un direttore, a prescindere se sono donna o uomo.
 Qui no, se non fai emergere la tua femminilità, sei una traditrice... e vai tu a capire perché in un caso andava bene l'unisex, ma nel secondo no. 
A me anche queste paiono convenzioni eteroimposte. Per via che il femminismo dovrebbe esaltare il libero pensare "al di fuori delle gabbie ideologiche".

Altro esempio: le donne non devono essere giudicate, le donne devono comportarsi come vogliono, basta con le accuse a una donna bella d'aver fatto carriera in ginocchio, ecc. 
Come non essere d'accordo?
Sto giusto alzando la mano per dichiararlo, quando ci viene subito detto che una donna come Melania Trump non può essere considerata come modello, assolutamente no, perchè trattasi di (cito) "un'ex-modella il cui tempo di dimezzamento sul mercato del lavoro sarebbe stato molto più rapido se non avesse incontrato e sposato un uomo ricco". Mentre invece Michelle Obama che, di fatto, ha raggiunto la notorietà per il medesimo ruolo (la storia la ricorderà soprattutto, diciamolo, per essere stata una first lady) resta una "vera" femminista perchè (cito sempre) "discende dagli Schiavi portati in America con la forza per lavorare nelle piantagioni". 
Ma che ne sappiamo che l'altra non ha comunque arrancato per venire via dal suo paesino dell'est e crearsi un sogno americano? Questo velenoso "ex-modella" mormorato tra i denti mi puzza molto più da Moglie/Zia che non da femminista-aiutiamo-le-altre-donne.

Tanto più che l'autrice se lo insegna da sola: "chiunque può essere femminista, e i femminismi sono ben più di uno, è anche vero che se sputi sulle altre donne e sulle loro lotte, allora sei femminista come io sono una tiratrice scelta.
Dunque, siamo al solito vedere il bruscolino negli occhi altrui, senza percepire la trave nel proprio...

Dove invece promuovo il libro è nel togliere il veleno a tanta ipocrisia che ci viene propinata da tanto mondo maschile: tipo "voi donne, quanto siete brave! Multi-tasking! Eh, dietro a un grande uomo c'è sempre una grande donna!"
Ma perchè? "Se gli uomini sono creature semplici, gente che non tollera poche linee di febbre, gente che va nel panico di fronte a lavoretti casalinghi elementari, allora perché non metterli da parte, perchè tenerli ai posti di comando, perché non farli pagare per i servizi di chi bada a loro?"
Concordo che questo è un sessismo benevolo, che comporta la logica conseguenza della deresponsabilizzazione maschile. 
Qui si potrebbe peraltro aprire una parentesi per tutti i romance scritti da donne dove si va in brodo di giuggiole di fronte all'uomo con la clava, l'uomo geloso, l'uomo psico-stalker, quello che dice "tu sei mia" (con un senso del possesso un filo limitativo...).

Sì, il mio è un commento lungo, ma volevo spiegare perché certe pagine mi hanno fatto stizzire.
Nel complesso, il libro mi ha lasciato un'impressione complessiva di femminismo "a chiazze": va bene parlare delle molestie subite per avere un posto di lavoro, ma si glissa sul fatto di chi usa il proprio corpo per fare carriera a dispetto di altre donne non dotate di quel corpo. Come se la seconda ipotesi non facesse altrettanto parte del nostro vissuto quotidiano.

Riassumendo: noi donne dovremmo unirci e sostenerci a vicenda. Però aspetta: basta che non siano mamme blogger, fasciomamme orgogliose dei figli, donne che hanno fatto carriera con il consenso dei maschi, donne che non hanno aiutato abbastanza le altre donne. 
Quelle non sono benvenute.

Amarilli

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