In ESCLUSIVA per voi: presentazione ed estratto di "IVAN" di Roxie Rivera

Ecco una ghiotta segnalazione!
E' già disponibile per l'acquisto il nuovo libro di Roxie Rivera, autrice Bestseller del New York Times e USA Today, pubblicata per la prima volta in Italia, in esclusiva per la casa editrice Follie Letterarie.
"Ivan" è il primo libro della serie romance-erotica "Her Russian Protector", ma è da considerarsi autoconclusivo. 
Come sempre, il nostro Blog vi offre in esclusiva un estratto tutto da leggere (per cui ringraziamo Eleonora Morrea e Follie Letterarie).

Erin Hanson è preoccupata per la scomparsa della sorella che da tempo frequenta un giro molto pericoloso. La giovane donna sa che l’unica persona alla quale può rivolgersi è Ivan Marcovic, inquietante e conturbante istruttore di arti marziali. Da uomini come lui bisognerebbe tenersi alla larga, perché Ivan nasconde un passato pericoloso legato agli ambienti malavitosi di Houston. 

Ma Erin, pur di salvare la sorella, è disposta a correre il rischio. 
Presto però, imparerà a sue spese che quando si chiede aiuto a un uomo come Ivan, bisogna essere pronti a pagare un prezzo, e per la donna la posta in gioco è molto più alta di una semplice somma di denaro…

Autrice: Roxie Rivera
Titolo: IVAN
Editore: Follie Letterarie
Link d'acquisto:
https://www.amazon.it/dp/B07B63TRVT
https://www.kobo.com/it/it/ebook/ivan-9

Se volete conoscere questa autrice, potete sbirciare l'intervista che ha gentilmente rilasciato per Follie Letterarie: http://www.follieletterarie.com/roxie-rivera-intervista-allautrice/

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ESTRATTO IN ESCLUSIVA





― Erin, ti prego, non entrare. ― Seduta sul sedile anteriore del passeggero, Vivian si torse le mani. ― È troppo rischioso.
Il suo tono disperato mi annodò le viscere. ― Non ho scelta. Devo trovare Ruby.
― La troveremo in un altro modo. ― Dal posto di guida del suo catorcio rosso, Lena si voltò e mi lanciò un’occhiata supplice. ― Vivi ha ragione. Non andare.
Diedi un’occhiata fuori dal lunotto della minuscola macchina; alla vista del magazzino l’ansia mi chiuse lo stomaco. Macchiato di ruggine, l’edificio in rovina sfoggiava un aspetto ingannevole. Quell’orribile luogo ospitava una delle migliori palestre di arti marziali miste del mondo. Uomini che desideravano disperatamente diventare dei campioni, venivano a Houston da ogni dove per contendersi uno dei pochi posti liberi a disposizione.
Io però non ero venuta lì per sottopormi a un allenamento. No, ero lì perché mi serviva aiuto, del tipo che poteva darmi solo qualcuno con le mani profondamente invischiate nelle acque torbide dei bassifondi di Houston. ― Ho bisogno di aiuto.
― Questi non sono uomini a cui chiedere aiuto ― insistette Vivi. ― Questi sono uomini da cui di solito bisogna scappare.
― Sono d’accordo con Vivi questa volta. Non cercare guai, Erin ― Lena si mordicchiò il pollice. ― Davvero, lo sa bene Vivi. Mio Dio, Erin! Lei lavora per la mafia russa. Lei sa che tipo di persona è questo Ivan Markovic.
Vivi colpì la gamba di Lena con il dito. ― Io non lavoro per la mafia russa! Gesù, non dire stupidaggini del genere. Finirà che mi faranno del male.
Lena si massaggiò una gamba. ― Sei una cameriera al Samovar, e quel posto appartiene a Nikolai Kalasnikov. Se non è aver legami con la mafia questo, allora non so cosa sia.
― Non lo sai per certo ― ribatté Vivi. ― Nessuno sa veramente se Nikolai faccia parte della mafia oppure no. Sai quanto sono riservati quei ragazzi. ― Vivi mi lanciò un’occhiata. ― Quando ho iniziato a lavorare, Nikolai mi ha avvertito di stare alla larga dagli uomini che frequentano il ristorante, e io lo faccio. Ivan Markovic è un cliente abituale. Segui il consiglio di Nikolai, Erin. Stai alla larga da Ivan.
Apprezzavo la preoccupazione di Vivi, ma ormai era troppo tardi. ― Non ho scelta. Vado dentro.
Vivi sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. Lena sospirò rumorosamente. ― Tieni il telefono in mano e seleziona il mio numero. Se succede qualcosa di strano, chiama. Verremo a tirarti fuori da lì.
In qualsiasi altro momento avrei riso a quell’osservazione da dura, ma ora avevo bisogno della sua forza e del suo sostegno. Pescai il telefono dalla borsa e lo tenni stretto con forza. ― Okay. Sono pronta.
Vivi allungò la mano e mi afferrò il polso. ― Qualsiasi cosa tu faccia, non promettergli niente. Questi russi sono famosi per onorare i loro debiti. Pretenderanno lo stesso da te. Ricorda che si aspetterà di riscuotere qualunque cosa tu gli abbia offerto.
Armata degli avvertimenti di Vivi e della promessa di Lena di venire a salvarmi il culo se la situazione fosse precipitata, scesi dall’auto. La brezza umida di maggio mi increspò la gonna. Mi lisciai il vestito con mano nervosa e mi sistemai con le dita i capelli corti. Inghiottii il nodo che mi chiudeva la gola e mi sistemai gli occhiali da sole sul naso, poi obbligai i miei piedi a muoversi.
La pesante porta principale si dimostrò quasi impossibile da aprire. Vi scagliai contro il mio corpo esile, nel tentativo di smuoverla almeno di un centimetro. Alla fine, mi infilai dentro. Una folata d’aria gelida mi colpì in faccia. Mentre entravo nel magazzino, non riuscii a fare a meno di chiedermi se aprire quella porta fosse il primo test che i combattenti dovevano superare dopo essere arrivati fin lì alla ricerca dei migliori istruttori.
Una volta all’interno di quell’enorme spazio, il coraggio mi abbandonò. Rimasi stupita dalla struttura aperta della palestra e dalle gabbie utilizzate per gli allenamenti. Dall’esterno, quel posto sembrava un buco infernale. Ora mi rendevo conto di quanto fosse ingannevole la facciata fatiscente. L’interno, sebbene poco illuminato, ospitava attrezzature costose e brulicava di uomini sudati e seminudi; alcuni si allenavano, altri si prendevano a pugni e a calci sui ring.
La mia presenza non passò inosservata. Un paio di palestrati smisero di sollevare pesi per fissarmi a bocca aperta. Imbarazzata, mi strinsi le braccia attorno al corpo. Forse Vivi aveva ragione. Era stata davvero una pessima idea.
― Posso aiutarti? ― chiese un uomo attempato abbastanza da essere mio nonno, avvicinandosi da una postazione vicina. La voce fortemente accentata mi sorprese. Non era la lingua madre russa a colorare le sue parole. No, era lo spagnolo. ― Ti sei persa?
Scossi il capo. ― Devo vedere il signor Markovic.
L’uomo inarcò le sopracciglia bianche, sorpreso. ― Ivan? Tu vuoi vedere Ivan?
Annuii. ― Sì, grazie.
Mi studiò per un momento prima di esalare un sospiro e farmi un cenno con le dita. ― Seguimi.
Gli rimasi vicina mentre mi guidava attraverso il magazzino. Tenni gli occhi incollati al dorso della sua maglietta grigia, rifiutando di incontrare gli sguardi curiosi che mi seguivano. Apparentemente non si vedevano molte donne in quel posto.
― Aspetta qui. ― Il vecchio mi lanciò un’occhiata d’avvertimento. ― Non parlare.
Le sue istruzioni mi strinsero lo stomaco. Non parlare? Ma che diavolo di posto era quello?
Rimasta sola, osai alzare lo sguardo sulla gabbia di metallo davanti a me. Era piazzata su una pedana rialzata e assomigliava a quella che avevo visto una volta su una tivù a pagamento. Seduta nel salotto del mio ragazzo di allora, non ero riuscita a vedere il combattimento fino alla fine. Assistervi ora, così da vicino tanto da sentire ogni tonfo del corpo a corpo, mi lasciò un po’ frastornata. Violenza e sangue non erano cose che sopportavo facilmente.
Al contrario di Vivi e Lena, avevo vissuto tutta la vita nella bambagia; prima dei recenti problemi di dipendenza di Ruby e dei suoi guai con la legge, non avevo mai conosciuto la parte malfamata di Houston. Ora mi sorbivo un corso accelerato di navigazione nel peggio che la città avesse da offrire.
Un uomo urlò, attirando la mia attenzione. Potevo sentirlo chiaramente anche al di sopra della musica sparata a tutto volume dall’impianto stereo. Sebbene non avessi mai incontrato Ivan Markovic, non ebbi dubbi che quell’uomo intimidatorio fosse lui.
In piedi appena fuori dalla gabbia, sembrava così fuori posto in pantaloni grigi perfettamente tagliati su misura e camicia bianca. Le maniche arrotolate fino ai gomiti rivelavano braccia muscolose ricoperte di tatuaggi. Persino da quella distanza, le lettere cirilliche erano chiaramente visibili. Non avevo bisogno di essere un iniziato per capirne il significato.
Ivan batté le mani lanciando una serie di istruzioni in russo, parole energiche ed esigenti. All’interno del ring, i combattenti non osarono disobbedire. A calci e pugni, se le diedero di santa ragione. Talmente forte che fui lieta indossassero caschi e guantoni.
Un altro uomo all’esterno del ring batté due blocchi di legno, l’uno contro l’altro, mettendo fine al round. Ivan spalancò di scatto la porta della gabbia e marciò all’interno. Fece cenno di avvicinarsi ai due che ansimavano, bagnati di sudore. Mise loro le braccia sulle spalle attirando le teste vicine, e prese a parlare. Non riuscii a capire cosa disse, ma i due lo ascoltarono con attenzione.
Quando ebbe finito con i consigli, Ivan diede loro una pacca sulla spalla e uscì dalla gabbia. Iniziò a scendere la scaletta di metallo ma si bloccò bruscamente. I nostri sguardi si scontrarono. I suoi occhi roventi sembrarono bruciarmi la pelle, percorrendomi dalla testa ai piedi. Si accigliò, e riprese a scendere. Chinò la testa perché l’uomo anziano potesse parlargli senza che il suo sguardo implacabile mi lasciasse un solo istante.
Tremando, strinsi il telefono talmente forte da sentire le dita intorpidirsi. Ivan si avvicinò tanto da permettermi di cogliere il profumo della sua colonia. Sebbene non fosse bello nel senso classico del termine, Ivan mi affascinava. Forse era il potere e il pericolo che irradiava. Forse era il modo in cui torreggiava su di me, con quegli occhi azzurri che sembravano guardarmi dentro. Non so... semplicemente non riuscivo a distogliere gli occhi dai suoi.
― Senti, tesoro, abbiamo già trovato una persona per il posto di segretaria. ― Il suo inglese pesantemente accentato mi rotolò addosso a ondate. Dal momento che mi incuteva terrore, lasciai correre sul vezzeggiativo. Non avrei avuto problemi a correggere qualcun altro, ma lui? Oh, diavolo no. Poteva chiamarmi dolcezza e non avrei neppure battuto ciglio.
― Non sono qui per un lavoro, signor Markovic.
Il suo viso tradì una traccia di sorpresa. ― Vuoi allenarti? ― Rise, la voce dura e scandita. ― Non alleniamo ragazze qui. Paco? Accompagnala fuori.
Presa dalla disperazione, gli agguantai il polso impedendogli di allontanarsi. Nell’istante in cui ci toccammo avvertii come una scossa elettrica. E dal bagliore nei suoi occhi, compresi che doveva averla sentita anche lui.
― Per favore ― lo implorai. ― Ho bisogno del suo aiuto.
Lui strinse gli occhi. Con un rapido strattone si liberò dalla mia presa. Mi fece un gesto imperioso con le dita, indicandomi di seguirlo, e io mi affrettai sforzandomi di tenere il passo delle sue lunghe falcate. Mi condusse in un ufficio sul retro del magazzino, facendomi entrare per prima. Chiuse la porta dietro di sé, andò alla finestra che dava sulla palestra e aprì le veneziane. Apparentemente non voleva che qualcuno si facesse l’idea sbagliata su quello che stava succedendo nel suo ufficio.
Sentendomi al sicuro con le tendine aperte, mi rilassai un poco, ma mi si inaridì la bocca quando si voltò verso di me. L’espressione scocciata che mi rivolse sgonfiò le mie speranze.
― Ti conosco? ― Andò alla scrivania e vi si appoggiò. Incrociò le braccia muscolose sul torace e mi studiò. ― Ricorderei una faccia come la tua. Non ci conosciamo.
Feci di no con la testa. ― No, ma abbiamo conoscenze in comune. Il mio nome è Erin Hanson e mia sorella, Ruby, esce con uno dei suoi allenatori. Era un combattente, ma è uscito malridotto da quell’incidente stradale, l’anno scorso.
― Andrei? ― Parve sbalordito. ― Tua sorella è la sua ragazza tossica?
Trasalii nel sentire quell’orribile parola, tossico. Certo, Ruby era tossicodipendente, e sì, si metteva costantemente nei guai cercando di mantenere quell’orribile abitudine... ma detestavo pensare a lei come a una tossica. Mi rifiutavo di credere che non potesse essere salvata, o aiutata. ― Sì, è la sua ragazza. E, per essere corretti, Andrei è come lei.
Ivan esalò bruscamente. La sua voce suonò più morbida, e triste, quando parlò. ― Sì. Dopo l’incidente, non riusciva a combattere. Credo che sia stata colpa della depressione se si è dato alla droga.
― È stata la morte dei nostri genitori a spingere Ruby oltre il limite. Monossido di carbonio ― spiegai con calma. ― Io ero a un pigiama party, ma lei doveva rientrare a casa quella notte, e probabilmente si sarebbe accorta che mamma e papà avevano qualcosa che non andava. Invece è tornata dopo l’alba. E ormai...
― Capisco. Andrei non viene in palestra da una settimana. Forse di più ― disse Ivan.
― Lo so. Ruby è scomparsa da altrettanto tempo. Sono andata a cercarla a casa di Andrei ma l’appartamento è stato messo a soqquadro. Così ho iniziato a bazzicare alcuni dei posti dove so che Ruby andava a...
Lui alzò una mano. ― Sei andata in cerca degli spacciatori? Una ragazza pulita come te? ― Scosse il capo. ― È pericoloso. Avresti potuto farti male.
Mi sentii offesa dall’insinuazione che fossi una ragazzina indifesa. ― Non è la prima volta che devo ficcare il naso nei vicoli di Houston per scovare mia sorella. E sono sicura che non sarà l’ultima. So quello che faccio.
Ivan mi scoccò un’occhiata dubbiosa. ― Allora perché sei qui a chiedermi aiuto?
― Perché credo che Ruby e Andrei siano nei guai. Guai grossi ― sottolineai. ― Andrei faceva lavoretti: proteggeva e trasportava merce per la città. Merce rubata ― chiarii. ― Qualcosa è andato storto e ha mancato una consegna, oppure l’ha rubata. ― Strinsi il telefono ancora più forte, mentre i torbidi dettagli mi passavano per la mente. ― Mi hanno riferito storie contrastanti. In ogni caso, Ruby era con lui. Ora sono entrambi scomparsi... e credo siano nei guai.
Ivan contrasse e rilasciò la mascella. ― Per chi faceva le consegne di merce, Andrei?
― Non lo so. Ho sentito tre diverse versioni e nessuna di queste è buona. ― Mi mordicchiai nervosamente il labbro inferiore, decidendo di mettere tutto sul piatto. ― Potrebbero essere gli Albanesi.
Nemmeno un duro come Ivan poté nascondere lo shock prodotto da quella notizia. Gli angoli della sua bocca si contrassero. ― Sei sicura?
― Non del tutto, ma penso sia vero. Perché altrimenti la gente fuggirebbe letteralmente da me quando inizio a fare domande su Andrei e Ruby?
― Quindi, perché sei venuta da me, Erin?
― Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a ottenere informazioni. Nessuno vuole più parlare con me. Hanno paura.
― Per una buona ragione ― interloquì lui. ― Hai una qualche idea della razza di gente con cui hai a che fare, Erin?
Il cuore mi martellava nel petto. ― Sì.
― Allora non so perché tu sia qui. Credi che voglia essere coinvolto con la delinquenza albanese per un paio di tossici che rubano? ― Indicò un cartello ben visibile sul muro dell’ufficio che proclamava quel luogo pulito. ― Gestisco una palestra pulita, okay? Niente droghe, né steroidi. Andrei e tua sorella hanno portato quei veleni nella mia palestra. Ho perso tre combattenti questa settimana perché sono risultati positivi al test antidroga. Tre! C’è il mio culo in ballo, la mia reputazione. ― Scosse il capo. ― Ho finito con quella vita. Non torno più indietro.
L’ultimo barlume di speranza dentro di me svanì. Sentendomi stupida per aver solo pensato che quest’uomo potesse aiutarmi, offrii un timido sorriso di scusa. ― Mi dispiace, signor Markovic. Non avrei dovuto... be’, grazie per avermi dedicato il suo tempo.
Avvampando per l’imbarazzo, mi diressi verso la porta. Per quanto mi affrettassi, non era comunque abbastanza. Cosa diavolo pensavo? Davvero mi ero aspettata che un uomo come Ivan si mettesse in gioco per aiutare una sconosciuta?
― Erin ― pronunciò il mio nome con quella voce bassa e roca. ― Torna qui.
Deglutii a fatica prima di girare sui tacchi per guardarlo. Era in piedi sulla soglia dell’ufficio, e la sua espressione rassegnata non ispirava esattamente fiducia. Tuttavia, se ci stava ripensando, dovevo provare a convincerlo

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