Pensieri su "La notte delle beghine" di Aline Kiner

 

Parigi, 1310. 
Un singolare edificio confina con rue de l’Ave Maria, nel quartiere del Marais: è il grande beghinaggio reale, fondato da Saint Louis. Tra le sue mura vive una comunità di donne fuori dal comune: sono le beghine, donne che hanno scelto di vivere una vita monastica ma senza voti. Vedove e nubili, di nobili natali o di bassa estrazione sociale, possono studiare, lavorare e circolare liberamente per la città, affrancate dall’autorità degli uomini. La vecchia Ysabel, che conosce tutti i segreti delle piante e delle anime, veglia sul posto. Ma l’arrivo di una giovane sconosciuta disturba la loro pace. Muta dalla nascita, Maheut la Rossa, i cui capelli hanno il colore della brace, fugge dal matrimonio impostole dal fratello con il signore di Hainaut, la sua regione natale, e dall’inseguimento di un inquietante monaco francescano. Mentre lo spettro dell’eresia perseguita il regno, la serenità del beghinaggio viene spezzata dall’esecuzione di Marguerite Porete, bruciata viva per aver scritto un libro che compromette l’ordine stabilito da parte dell’autorità ecclesiastica. Con l’inizio delle persecuzioni ai templari, le beghine di Parigi dovranno prepararsi a combattere. Per proteggere Maheut, ma anche la loro indipendenza e la loro libertà. 
Intrecciando i momenti salienti del regno di Filippo il Bello e il destino di personaggi reali e immaginari, Aline Kiner ci porta in un Medioevo sconosciuto. Le sue eroine, solidali, sovversive e femministe in anticipo rispetto ai tempi, animano un affresco emozionante e decisamente moderno.

Titolo: La notte delle beghine
di Aline Kiner
Editore: Neri Pozza
Pagine: 299
Uscita: 7 settembre 2018




Sulla carta questo romanzo, oltre al fatto di essere edito da Neri Pozza, emanava tutte le vibrazioni giuste. Non mi è dispiaciuto, ma non mi ha nemmeno entusiasmato. 

Da tempo desideravo leggere un romanzo ambientato nel mondo delle beghine, una sorta di ordine laico protetto da Luigi IX, re di Francia, che consentiva alle donne sole del tempo (parliamo della seconda metà del 1200) di non dover decidere tra due uniche esistenze, ovvero sposata e morta di parto prima dei vent’anni, oppure suora e reclusa in un convento. 
Le beghine potevano vivere all’interno delle mura, dedicandosi allo studio, alla preghiera e aiutandosi tra loro, oppure potevano uscire ed esercitare le arti del commercio, soprattutto nella vendita dei tessuti o di altri beni. 
Se foste vissute tra il 1260 e il 1400, e foste state dotate di una minima cultura e di un patrimonio proprio, probabilmente avreste abbracciato il beghinaggio per sfuggire a fratelli prepotenti o a conoscenti avidi di inglobarlo tramite la dote. Il principale centro delle beghine a Parigi viene però sconvolto intorno al 1310 da due avvenimenti terrificanti: la distruzione dei templari, altro ordine laico-religioso ricco e autonomo, e perciò inviso a Chiesa e sovrano, e la morte sul rogo di Marguerite Porete.

Ho incrociato questa figura più volte in passato, non sono mai riuscita a inquadrarla bene, eppure continuo a subirne un certo fascino. 
Basti dire Marguerite professava esperienze oggi modernissime: cercava l'incontro con Dio, senza l'intermediazione religiosa, commentava e interpretava liberamente le Scritture, addirittura le insegnava. C'era tutto per dichiararla eretica e bruciarla sul rogo (il suo manoscritto mistico, Miroir des âmes simples et anéanties, il più antico della letteratura francese scritto in volgare, è sopravvissuto all'oblio venendo copiato in segreto più e più volte volte per secoli).

La sua fine ha certamente aiutato anche la fine dell’esperienza delle beghine; non potevano essere tollerate queste donne libere, intrepide, orgogliose di essere femmine non soggette al potere maschile, fiduciose di contare sui propri talenti. 

Detto questo, il romanzo della Kiner offre uno spaccato di quella vita anticonvenzionale e coraggiosa, anche se resta un po’ in modalità arretrata; la narrazione si apre quando siamo già al declino, accentua il fatalismo senza speranza, liquida la Porete in poche pagine, più interessata a raccontare la fine, che non lo splendore raggiunto solo pochi decenni prima. 
Un peccato; attenderò con fiducia un romanzo che renda giustizia alle beghine in modo più corposo.

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