Pensieri su "L'ALIENISTA" di Caleb Carr

NEW YORK 1896. Il reporter John Schuyler Moore riceve la chiamata inaspettata di Laszlo Kreizler – psicologo e “alienista” –, un suo amico di vecchio corso. Il dottore lo prega di raggiungerlo al più presto per assistere al ritrovamento di un cadavere. 
Il corpo è stato orrendamente mutilato e poi abbandonato nelle vicinanze di un ponte ancora in costruzione. La vista di quel macabro spettacolo fa nascere nei due amici un proposito ambizioso: è possibile creare il profilo psicologico di un assassino basandosi sui dettagli dei suoi delitti? 
In un’epoca in cui la società considera i criminali geneticamente predisposti, il giornalista e il dottore dovranno fare i conti con poliziotti corrotti, gangster senza scrupoli e varia umanità. 
Scopriranno, a loro spese, che cercare di infilarsi nella mente contorta di un assassino può significare trovarsi di fronte all’orrore di un passato mai cancellato. 
Un passato pronto a tornare a galla di nuovo, per uccidere ancora.

Autore: Caleb Carr
Titolo: L'Alienista
Newton & Compton
ISBN: 9788822717108 - Pagine: 480
eBook € 0,99
Cop. rigida € 10,00

Thriller storico
4 stelline

Secondo Kreizler, noi americani siamo ancora in fuga. Nel privato, fuggiamo veloci e spaventati come allora, fuggiamo dall’oscurità che intuiamo nascosta dietro le porte di case apparentemente tranquille come le nostre, fuggiamo dagli incubi instillati nei bambini da coloro nei quali per natura dovrebbero trovare amore e fiducia; fuggiamo, sempre più veloci e numerosi, verso pozioni, polverine, preti e filosofie che promettono di cancellare tali paure e tali incubi, chiedendo in cambio solo una servile devozione. 
Che abbia ragione? 

Che New York fosse una città estremamente violenta, tra il finire dell’800 e gli inizi del ‘900, non è una novità. 
Se qualcuno ha visto “Gangs di New York” di Scorsese, si sarà fatto un’idea di questa metropoli, immensa e brulicante, dove ogni giorno si riversavano dalle navi orde umane di disperati, in fuga dalla miseria del vecchio mondo e alla ricerca di un pezzettino del sogno americano promesso a gran voce. Una greater New York, in cui vengono innalzati i primi grattacieli, in cui interi quartieri vengono cancellati e ridisegnati, in cui un crogiuolo di culture e popoli vengono distribuiti, amalgamati, contrapposti, tutti classificati come “feccia” da sfruttare e limitare. 
Non è la città che potremmo immaginare, ma uno scenario cupo e violento, dove la metropoli sporca, inquinata e crudele, è addirittura il baluardo della civiltà rispetto all’ovest, altra terra di confine, dove ancora ci si scontra tra indiani e coloni, dove ogni giorno ci si alza per combattere, si muore o si fanno figli, soltanto per appropriarsi di un lembo di terra. 

Per questo, ho trovato davvero intrigante l’idea di sviluppare una vicenda dai rivolti thriller proprio qui, mischiando con maestria elementi storici e reali, con altre ispirazioni tratte dalle realtà e mutate per licenza creativa: mentre un serial killer semina la città di orrendi delitti (anche se il formicaio quasi non se ne accorge, o non vuol vedere…) una piccola squadra di detective semi-professionisti decide di indagare e fermarlo, con la benedizione del capo della polizia Roosvelt (sì, proprio lui, il futuro ventiseiesimo presidente). 

Ovviamente, l’idea stessa di indagine è ancora tutta da analizzare e comprendere: non ci sono esami scientifici (la dattiloscopia è ancor un concetto astratto, l’esame dei reperti è quasi ridicolizzato dal resto dei poliziotti, Lombroso e le sue teorie sui tratti criminosi dell’uomo impazzano), eppure questi uomini (e donne) ci provano, avvalendosi soltanto del loro acume, del loro spirito d’osservazione e della loro audacia. Di certo, il loro approccio è fantascientifico (anche se credibile e mai forzato) per l’epoca, ma all’avanguardia. Al giorno d’oggi non possiamo più ridere sull’idea di cercare un’origine psicologica alla base del male, un trauma subito nel passato, il bisogno di un assassino di comunicare con il mondo. 

Indubbiamente un romanzo che si legge con passione (e qualche brivido). 

Per chi è troppo sensibile, evidenzio alcune scene dettagliate e crude (anche se l’impatto non è certo quello di un film). Inoltre, a scanso di equivoci, confermo che è un romanzo molto ricco e dettagliato, zeppo di fatti storici e con una minuziosa ricostruzione dei luoghi newyorkesi dell’epoca. 
Quindi, se cercate letture veloci e superficiali passate oltre, se invece volete fare un viaggio narrativo, immergendovi nel paesaggio, negli odori e nella violenza di un’epoca, vi consiglio di munirvi di una piantina di Manhattan, per seguire i movimenti dei nostri e rendervi conto di quanto la zona sia cambiata in oltre un secolo. 

«Non c’è bisogno di ricordare che depravazione e brutalità a New York hanno assunto proporzioni mai viste al mondo. Ma, persino qui, quale incubo innominabile può spingere un uomo a tanto?» 
«Le cause», rispose lentamente Kreizler, sforzandosi di essere il più chiaro possibile, «non vanno ricercate in questa città, né in circostanze o avvenimenti recenti. Il mostro che rincorri ha avuto origine molto tempo fa, magari nei giorni della sua primissima infanzia, sicuramente nel periodo della sua fanciullezza. E non necessariamente qui.»

Amarilli

Nessun commento:

Powered by Blogger.