Pensieri su "Annus Mirabilis" di Geraldine Brooks
È una mattina del 1666 a Eyam, un piccolo villaggio di montagna del Derbyshire, in Inghilterra, e nel cottage in cui vive, Anna Frith ha appena finito di allattare il piccolo Tom e di scrutare amorevolmente Jamie, che gioca da solo accanto al focolare. Anna si avvia verso la scala della soffitta, per raggiungere la stanza dove dorme Mr. Viccars. Dal giorno in cui Sam Frith se n'è andato, sepolto da una valanga nel giacimento di piombo in cui lavorava, è trascorso un inverno. In primavera, George Viccars è venuto a bussare alla porta del cottage in cerca d'un alloggio e Anna, vedova a diciotto anni con due bambini, ha pensato che l'avesse mandato Dio. Viccars è un sarto girovago, conosce Londra e York, l'intensa vita portuale di Plymouth e il traffico di pellegrini di Canterbury. Ed è gentile: ieri le ha fatto dono di un vestito di lana fine verde dorato. Perché però ora l'accoglie con strani gemiti? Anna entra nella stanzetta e per poco la brocca non le cade di mano. Il volto giovane e bello della sera precedente è scomparso. George Viccars giace con la testa spinta di lato da un rigonfiamento di carne lucida e pulsante. Così, nelle pagine di questo romanzo, la peste giunge a Eyam. Inaspettata e innocente eroina, Anna deve affrontare la morte nella sua famiglia, la disintegrazione della sua comunità e il pericolo di un amore illecito. L'Annus Horribilis della peste, però, è destinato a trasformarsi in un Annus Mirabilis, un anno di meraviglie...
Titolo: Annus Mirabilis
di Geraldine Brooks
Editore: Neri Pozza
Pagine 352
Uscita: 29 gennaio 2014
Seppi allora che era questo il modo in cui avrei dovuto proseguire a vivere:
lontano dalla morte e verso la vita, di nascita in nascita, dal seme al fiore,
vivendo una vita fra cose mirabili.
Leggendo la trama, era abbastanza plausibile trovarsi di fronte a un romanzo non proprio gioioso, ma ero comunque curiosa di capire in che modo le vicende raccontate avrebbero potuto rendere un anno horribilis, come il 1666, nel "mirabilis" del titolo.
In effetti, la vita di Anna Frith pare fornire una nuova definizione, pagina dopo pagina, delle cosiddette esistenze senza gioia; si passa dalla perdita dell'adorato giovane marito a una vita grama con due figli piccoli a carico, fino all'arrivo della peste (il cui caso zero parte proprio dalla casa di Anna) che decima ogni essere vivente, vicino e lontano, familiare o semplice conoscente.
Come se non bastasse, al villaggio di Eyam è da poco giunto un pastore puritano che, da un lato, è illuminato e pieno di fede coraggiosa, mentre, dall'altro, coinvolge nel suo fervore l'intera cittadinanza proponendo di isolarsi dal mondo per combattere il morbo con la preghiera e la solidarietà reciproca.
Le comunità utopiche, si sa, non portano quasi mai bene, per cui Anna si ritroverà sprofondata in un ambiente di ostilità e sospetto, tradimenti e caccia alle streghe. Sino a un cambiamento improvviso quanto rivoluzionario, che darà un senso nuovo a tutto.
Il ritmo è convincente e avrei dato anche un voto maggiore per merito della protagonista, una donna che matura e viene plasmata - letteralmente - dalle brutture del suo presente, ma c'è davvero troppo dolore per i miei gusti.
Il finale è stato appagante (e inaspettato), ma anche un vero sollievo.
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