Pensieri su "AI PIANI BASSI" di Margaret Powell
Il mondo diviso tra i saloni sfolgoranti e i piani bassi della servitù, la lotta di classe a colpi di tazze di tè, i pettegolezzi e le tragedie nel racconto sulfureo di una cuoca a servizio dell'aristocrazia inglese negli anni Trenta. La voce ironica e acutissima di Margaret, già aiuto-cuoca a soli quindici anni, racconta il mondo di "loro" e "noi".
Dei ricchi aristocratici degli anni Trenta e dei domestici che lavorano nelle case dei facoltosi signori e i loro frivoli salotti e stanze da letto.
Margaret Powell
Ai piani bassi
Editore: Einaudi
Pagine: 196
Uscita: febbraio 2013
Il servizio domestico ispira tante cose, e forse ispira a crearsi una vita migliore.
Pensi al modo in cui vivevano quei signori e, forse, senza rendertene conto, cerchi di emularlo.
Le belle maniere non saranno così importanti,
ma facilitano il cammino lungo la strada della vita.
Dopo aver letto alcuni romanzi della Ashley incentrati sul personaggio della cuoca Kat, mi è venuta la curiosità di conoscere questo libretto che, ho scoperto poi, deve aver ispirato anche per il titolo, dato che in originale è "Below stairs" (come la serie di Kat, in effetti; la locuzione rimanda ai piani di sotto e alle scale inferiori usate, appunto, dai domestici e dal personale di servizio per entrare e muoversi nelle case padronali, tra ottocento e inizi novecento).
Si tratta di un libretto agile, neppure duecento pagine, ed è un vero libro di memorie, il caro memoire che un tempo uomini e donne usano scrivere, per fissare sulla carta aneddoti e impressioni di un'intera vita.
Margaret Powell, nata Langley (nome che alle padrone ricordava quello di un'attrice e perciò appariva frivolo e poco consono - la prima cosa che la giovane imparerà a suo spese, andando a servizio, è che il maggior peccato per una domestica è essere "frivola").
La giovane Margaret, prima di sette figli, cresce in un villaggio di campagna, libera e felice, finché a quattordici anni, come suo dovere, inizia a lavorare, dapprima in una lavanderia, poi come sguattera.
Ed è così che inizia a risalire i gradini della "carriera" di domestica, sino a divenire cameriera e poi, finalmente, cuoca, trasferendosi da Hove nella Londra trafficata dei primi decenni del 1900.
Capisco perché queste pagine abbiano ispirato molti in seguito, a partire da certe scene di Downtown Abbey: vi è un ritratto estremamente pragmatico, sincero e senza enfasi, della vita ai piani inferiori di una casa della ricca borghesia, se non nobiltà, con le fila dei campanelli, il salottino (spesso uno stanzone) della servitù, i locali umidi e bui, le finestre sbarrate all'altezza della strada, le stanze in soffitta misere e scomode, la gerarchia del personale, le rigide regole da rispettare.
E poi l'invisibile ma ferrea divisione tra sotto e sopra, tra persone che lavoravano e "loro", i padroni che occupavano il tempo a controllare le mancanze delle prestazioni e a intromettersi addirittura nella vita privata dei domestici. Tanto che veniva biasimato chi pretendeva di uscire la sera, di vestirsi in modo non appropriato, di frequentare "fidanzati", addirittura chi leggeva (!), e magari si lamentava di materassi di paglia, cucine obsolete, attrezzi pericolosi, lavori inutili e ingrati.
Ma Margaret vive con spensieratezza la sua vita, impara a farsi la pelle "dura", si sposa, si sacrifica per i suoi figli, pur avvalendosi della sua esperienza di cuoca, e, a sessant'anni, riprende a studiare per diplomarsi. E decidendo di raccontarci con serenità il proprio passato.
Un esempio bellissimo di donna che non rinnega nulla e va fiera delle sue conquiste personali, che ha visto tutto ciò che le accadeva intorno e ha riconosciuto l'ipocrisia, descrivendo vizi e virtù, curiosità e bugie, ma ha continuato a lavorare e migliorarsi, senza accettare tutto solo perché lo dicevano i padroni.
Le persone hanno l'istinto del branco come gli animali.
Basta che uno sia diverso dagli altri, perché tutti lo prendano a calcioni.
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