Pensieri su "Unorthodox. Lo scandaloso rifiuto delle mie radici chassidiche" di Deborah Feldman
Nella comunità chassidica di Williamsburg, a Brooklyn, l’osservanza dei precetti talmudici è strettissima. Qui nasce e cresce Devoiri: è di fatto un’orfana, della cui educazione si occupano i nonni, Bubby e Zeidy, e la temibile zia Chaya.
La sua infanzia e adolescenza si svolgono all’interno del complesso di regole che implacabile determina la vita degli ebrei ortodossi. Regole che sono moltissime, non sempre comprensibili, a volte inutilmente crudeli, e in ogni caso in conflitto con la personalità di Devoiri, che sogna un giorno di scoprire il superpotere che le regalerà una vita nuova, diversa, finalmente sua.
Come è successo a Matilde di Roald Dahl, la preferita tra le sue eroine proibite. E crede di averlo trovato nella sua capacità di nascondere, di nascondersi, mantenendo una facciata di ubbidienza mentre in lei ribollono desideri e aspirazioni di tutt’altro segno. Ma quanto a lungo si può fingere, quando tutto dentro si oppone, e chiede aria, e libertà?
Per quanto tempo una ragazza può portare avanti una doppia vita, contesa tra un sistema che non ammette eccezioni, o sfumature, e la fedeltà a se stessa, che in quel sistema proprio non ci sta, nemmeno volendo?
Una storia antica quanto l’uomo, ma che avvince e affascina per il suo messaggio modernissimo, perentorio e potente: la ribellione a ogni forma di autorità che, in nome della tradizione e di una fede che non ci appartiene, ci consegni un feticcio di esistenza, sofferta e incolore, che niente ha a che spartire con quello che sogniamo, amiamo, vogliamo per noi.
Titolo: Unorthodox. Lo scandaloso rifiuto delle mie radici chassidiche
Autrice: Deborah Feldman
Editore: Solferino
Pagine 336
Uscita: febbraio 2012
Decido che un giorno lascerò Brooklyn. Non posso diventare come quelle ragazze che sprecano tutta la vita in questo piccolo e soffocante quadrilatero di caseggiati, quando là fuori c’è un mondo intero che aspetta di essere esplorato. Non so ancora come, ma forse la mia fuga avverrà a passi piccoli e costanti, come quella di Francie. Forse ci vorranno anni. Ma so, con assoluta certezza, che succederà.
Questa lettura non è narrativa, ma neanche saggistica: è, piuttosto, un memoir che riesce però a regalare uno spaccato interessante su alcune tradizioni dell'ebraismo chassidico negli Stati Uniti di inizio millennio (siamo intorno al Settembre 2001).
Devoiri cresce a Brooklyn, che è New York, ma anche non lo è: si trova inglobata in una specie di bolla fuori dal tempo, dove ci sono scuole e quartieri separati, dove è persino proibito leggere in inglese, dove le ragazze vivono obbedendo, senza poter cantare e ballare, senza poter esprimere i propri desideri, con il solo scopo di diventare brave e devote mogli, finché una sensale non combinerà un matrimonio con un giovane educato allo stesso modo, preferibilmente uno studioso in una scuola di preghiera.
Cresce con i nonni, perché è stata a sua volta il risultato di nozze forzate tra un padre minorato e una madre emarginata dalla società.
E cresce tentando di sopravvivere, di nascosto, perché il sapere, la modernità e l'emancipazione sono giusto dietro l'angolo.
Lei ci prova, a conformarsi, a sposarsi, a diventare madre e ad annullarsi all'ombra del marito.
Ma sa di volere altro.
E sa che può volere altro.
Un viaggio intenso tra tradizioni millenarie e pregiudizi ancestrali, umiliazioni e orgoglio, misoginia e fede, grandezza e povertà familiare.
E tanta, tantissima fame di libertà.
Il problema è che non appena riesco a liberarmi di una restrizione, ne trovo subito un’altra da combattere. E mi rode il pensiero che ci siano cose che non potrò mai sperimentare. Non sopporto l’idea di passare una vita intera su questo pianeta senza poter fare tutto quello che desidero, solo perché qualcuno non me lo permette. Non credo proprio che mi basterà mai, questa versione di libertà, finché non sarà onnicomprensiva. E non penso di poter essere felice finché non sarò davvero indipendente.
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