Pensieri su “COME UCCIDERE LA TUA FAMIGLIA” di Bella Mackie


Mi chiamo Grace Bernard e, con ogni probabilità, il mio nome non vi dice proprio niente. Nessuno mi conosce perché languisco dietro le sbarre per l’unico crimine che non ho commesso. Eppure, se devo dire la verità nient’altro che la verità, ho ucciso diverse persone, alcune in modo brutale, altre con maggior delicatezza – vale la pena specificarlo, perché fa un’enorme differenza agli occhi giudicanti della gente. Quando ripenso a ciò che ho fatto, avverto persino una punta di tristezza, giusto una fitta trascurabile, al pensiero che nessuno verrà mai a conoscenza del mio strabiliante piano. Un piano che ho architettato per anni, sacrificando tutto in nome della vendetta. Ora vi chiederete: perché ostinarsi a vuotare il sacco se la si può passare liscia? Avete ragione, la libertà non ha prezzo. Però non riesco a smettere di immaginare l’istante in cui, dopo la mia morte, qualcuno aprirà una cassaforte e troverà la mia confessione. Esatto, proprio questa che sto scrivendo nei pochi giorni che mi separano dalla libertà. Scommetto che quel qualcuno non potrà fare a meno di restare a bocca aperta e pensare a me con ammirazione. Perché chi sarà mai in grado di capire come una persona, a soli ventotto anni, possa aver ucciso a sangue freddo sei membri della sua famiglia per poi andare avanti come se niente fosse, senza neppure l’ombra di un rimpianto?

BELLA MACKIE ha scritto per “The Guardian”, “Vogue” and “Vice”. Vive a Londra. Come uccidere la tua famiglia è il suo primo romanzo.

Titolo: COME UCCIDERE  LA TUA FAMIGLIA
Autrice: Bella Mackie
Traduzione: Aurelia Di Meo
Editore: HarperCollins *
  * ringrazio la CE per la copia fornita
Pagine 432
Uscita: 10 gennaio 2023




Ricordo ancora con molta chiarezza quel momento e lo rievoco spesso, sempre sorridendo. 
Perché già a tredici anni, benché ancora troppo innocente per ammetterlo, mi confortava l’idea che sarei cresciuta e avrei fatto sì che conoscessero lo stesso dolore che ci avevano inflitto. 
Con gli interessi.


Questo romanzo si fonda su un'idea 💡 arguta, sviluppata con una buona struttura e con finale a suo modo sorprendente, ma ammetto che la cover rosa, con tanto di pala da giardino, mi aveva fatto pensare più a una commedia intrisa di humour nero (anzi, inglese).

Non è proprio così, si sorride poco, di certo sotto le aspettative; se il canovaccio, infatti, era interessante, con l'idea di una vendetta, decisa dalla protagonista ancora ragazzina, contro il padre biologico che non l'ha voluta riconoscere (e mantenere), lo sviluppo è stato spesso infarcito da deviazioni di critica sociologica che risultano a volte estenuanti e finiscono per spezzare il ritmo.

La vicenda è tutta narrata da Grace, che scrive il proprio diario dalla cella di una prigione, e devo dire che questo approccio mi ha incuriosito, facendomi divorare i primi capitoli. 
Ma poi è come se la Mackie quarantenne entrasse nella testa della Gracie ventenne e si mettesse a commentare petulante tutto ciò che non le garba del jet-set inglese, dalla chirurgia plastica ai cagnolini usati solo per le foto, dai feed di Instagram al cattivo gusto dei nuovi parvenu.

Da una commentatrice di Vogue sarebbe potuta arrivarci un'analisi assai più graffiante, mentre invece è un po' tutto già visto (i ricchi che trattano male i dipendenti, i ricchi annoiati, i ricchi viziati, ecc.). 
Tra l'altro, viene continuamente il dubbio che si volesse citare e schernire qualcuno di conosciuto, con il risultato che la narrazione, a tratti, da vivace, si tramuta in un monologo rosicone del "vorrei ma non posso".

Alla fine, è il racconto di una vendetta, meditata per anni, scrupolosamente messa in esecuzione, e non goduta abbastanza. 
Ma - diciamolo - Grace si arrabatta più grazie a colpi di fortuna e tenacia, che non grazie all'acume, ed è infatti una sorta di eroina donchisciottesca che parte all'arrembaggio guidata da una notevole miopia d'intenti.
Si resta con un sapore amarognolo in bocca, che è poi quello che accompagna per l'intera lettura. Pur riconoscendole molte attenuanti, ti senti quasi in colpa a tifare per lei, oppure non riesci a tifare per nulla.

Ma la mia non è la storia di un ricongiungimento familiare. 
Non è un racconto i cui protagonisti scoprono di avere un sacco di parenti 
che non vedono l’ora di accoglierli a braccia aperte. 
Io non sono un uccellino ferito che cerca disperatamente protezione. 
Io voglio eliminare queste persone.

Amarilli

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