Pensieri su "DIO DI ILLUSIONI" di Donna Tartt



Un piccolo raffinato college nel Vermont. 
Cinque ragazzi ricchi e viziati e il loro eccentrico e affascinante professore di greco antico, che insegna al di fuori delle regole accademiche imposte dall’università e solamente a una cerchia ristretta di studenti. Un’élite di giovani che vivono di eccessi e illusioni, lontani dalla realtà che li circonda e immersi nella celebrazione di un passato mitico e idealizzato, tra studi classici e riti dionisiaci, alcol, droghe e sottili giochi erotici. Fino a che, in una notte maledetta, esplode la violenza. E il loro mondo inizia a crollare inesorabilmente, pezzo dopo pezzo. 
Una storia folgorante di amicizia e complicità, amore e ossessione, colpa e follia, un romanzo di formazione che è stato uno dei più grandi casi editoriali degli anni Novanta.

Titolo: Dio di illusioni
Autore: Donna Tartt
Editore: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
Collana: Contemporanea
ISBN-13: 9788817106825
Pagine: 622
Uscita:



La scena ricorrente (e che mi riaffiora con insistenza, al pari di un sogno ossessivo) era quella di Julian, a capotavola, che si alza in piedi col bicchiere levato: «Vita eterna!» esclama. 
Anche noi ci alziamo, e congiungiamo i bicchieri al di sopra della tavola, 
come un corpo di ufficiali incrocia le spade: Henry e Bunny, Charles e Francis, Camilla e io. 
«Vita eterna!» pronunciamo in coro, bevendo d’un fiato. 
E sempre, sempre quello stesso brindisi: Vita eterna.


Ha senso leggere Dio di Illusioni nel 2022, ovvero esattamente trent'anni dopo la sua uscita?
Ha senso perché questo romanzo ha dato il via a un genere che proprio di recente ha conosciuto un nuovo successo, tanto che le imitazioni/ispirazioni dello stile di Donna Tartt si sono sprecate.
Ha senso perché ruota attorno a temi pressoché universali, di moda dalla cultura greca in poi, e perché, ammettiamolo, quando sei giovane, con una vita presumibilmente lunga davanti, hai il tempo per fermarti a meditare su morte, bellezza, potenza e piacere.
Poi arriveranno le responsabilità, non potrai più concedertelo, a meno che qualcuno ti mantenga, lavorando al tuo posto.

Non è un caso se la storia si sviluppa all’Hampden College, riservato a rampolli di famiglie abbienti, dove si possono trascorrere mesi anche a studiare greco antico e cultura classica, senza il tedio e la pressione di doverne ricavare una professione concreta. 
Richard, in fuga dalla noia della California e da una mediocre famiglia piccolo borghese che non lo comprende e non lo ama, s'illude di aver trovato qui un luogo di rinascita e di eccellenza, così come è la natura che avvolge il campus, un continuo pullulare di vita dopo l'inverno del Vermont.

E, fatto ancor più esclusivo, viene ammesso nell'ambita cerchia del professor Julian, eccentrico, elegante, ispiratore di fasti e trasgressioni senza saperlo o volerlo.
Sono solo cinque gli allievi che accetta, ma Richard riesce, per ostinazione e buona sorte, a entrare nel loro giro, fatto di passioni ed entusiasmo, intelligenza e mediocre gelosia, aspirazioni grandiose e dipendenze fatali a base di alcol e droga.

Fa quasi orrore vedere persone nutrite di poesia e filosofia gettare alle ortiche un destino che potrebbe essere davvero fulgido, vedere Dioniso che sconfigge etica e ragione, vedere che il sapere non arricchisce e non salva. Eppure la caduta è rovinosa e trascina tutti tra invidie e sospetti autodistruttivi.

Questo romanzo non è perfetto: lungo, a tratti prolisso, a tratti stagnante. Ma che storia.
I sei più il (cattivo?) maestro ti entrano dentro e restano lì, come fantasmi, a giorni di distanza.
E quasi non riesci a darti pace per la china rovinosa che hanno intrapreso, come se fossi nel piccolo studio di Julian con loro, o nella villa di campagna o ancora in giro per i boschi.

Lo stile della Tartt è disturbante e merita di essere assaporato con lentezza. Se cerchi il colpo di scena, resterai deluso. 
Però mi sono accorta che non c'è una pagina dove non abbia sottolineato qualche frase.

Amarilli










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