Pensieri su "IL MUSEO DELLE PROMESSE INFRANTE" di Elizabeth Buchan

Esiste un museo, a Parigi, dove non sono custoditi né quadri né statue. In questo museo si conservano emozioni: ogni oggetto – un vecchio telefono, una scarpetta bianca, un biglietto del treno – è infatti il segno concreto di un amore perduto, di una fiducia svanita, di una perdita. Cimeli donati da chi vorrebbe liberarsi dei rimorsi e andare avanti. Come la curatrice, Laure, che ha creato il Museo delle Promesse Infrante per conservare il suo ricordo più doloroso: quello della notte in cui ha dovuto dire addio al suo vero amore.

Quando Laure lascia la Francia e arriva a Praga, nell’estate del 1986, ha l’impressione di essere stata catapultata in un mondo in cui i colori sono meno vivaci, le voci meno squillanti, le risate meno sincere. Poi capisce: lì, la gente è stata costretta a dimenticare cosa sia la libertà. Eppure qualcuno non si rassegna. Come l'affascinante Tomas, incontrato per caso a uno spettacolo di marionette. Per lui, Laure è pronta a mentire, lottare, tradire. Ma ancora non sa di cosa è capace il regime, né fin dove lei dovrà spingersi per salvarsi la vita.

Laure si è pentita amaramente della scelta che ha dovuto compiere tanti anni prima ed è convinta che non avrà mai l’occasione per sistemare le cose. Eppure ben presto scoprirà che il Museo delle Promesse Infrante è un luogo in cui le storie prendono nuovo slancio, spiccano il volo verso mete inaspettate. E magari ricuciono i fili strappati dal destino. Come quelli che la legano a un uomo che aspetta solo un cenno per mantenere la sua promessa…



Elizabeth Buchan
Il museo delle promesse infrante
Editore: Nord
Pagine: 396
ISBN 9788842932529
PREZZO € 18.60
Uscita: 9 gennaio 2020




Non riusciva ad affrontare il passato. 

Stando alla fisica quantistica, un atomo in un labirinto non segue un solo cammino per uscire. Percorre in parallelo tutte le strade possibili. Quell’immagine descriveva perfettamente quello che faceva Laure: percorrere tutte le strade senza sapere perché, cadendo a ogni ostacolo, ritrovandosi col viso nel fango.


Mi sto rendendo conto che in questi ultimi anni tendo a prediligere le commedie romantiche rispetto alla narrativa per puro istinto di conservazione o, se vogliamo, per banale codardia. Temo i libri "tristi", i risvolti tragici e quel senso di magone che ti rimane addosso anche dopo qualche giorno dal termine della lettura.
E questa, in effetti, è una delle ragioni per cui ho impiegato così tanto a completare questa lettura, quasi due mesi ferma sul comodino, alternata ad altro.

Nel complesso non posso dire che il libro mi sia dispiaciuto, vi sono parti molto belle, l'idea del museo è al limite del geniale per gli spunti che può offrire, e tuttavia c'è uno struggimento costante, un senso di delusione ineluttabile che grava su ogni scena che costringe a interrompere e a prendere una boccata d'aria fresca.
Quanto meno io non sono riuscita a leggerlo senza soluzione di continuità.

La bellezza di questo romanzo sta nell'avere più romanzi, uno dentro nell'altro, grazie alla sovrapposizione di più piani temporali e spaziali (passato a Praga, presente a Parigi, ancora passato a Praga e a Berlino, e ancora presente), in una sorta di serpente che si morde la coda, confermando un finale che potevamo supporre e che è andato a delinearsi per indizi lungo tutta la trama.

Si parte da una stazione e da un treno che arriva portando un'amara sorpresa.
Decenni dopo Laure è l'affermata curatrice di un particolarissimo museo che lei stessa ha ideato e sviluppato: un museo fatto non di opere d'arte, ma di oggetti d'uso quotidiano, di cose vecchie ed usate, che trovano il valore nei ricordi di un singolo. Ma non sono memorie storiche, se non in parte, piuttosto prove inconfutabili di una promessa che venne fatta al loro proprietario e che non fu mantenuta. Dunque vengono donati al museo perché restino a perenne monito del torto subito o di una infelicità provocata. 
I visitatori guardano le vetrine e condividono l'amara verità: "Non fate promesse che non potete mantenere, perché non vi sarà mai perdonato."

La stessa Laure, mezza francese e mezza inglese, ha donato un oggetto al museo, un biglietto del treno, per una promessa infranta nel 1996, quando ancora il muro di Berlino non era caduto e Praga sopravviveva sotto la cappa soffocante del comunismo, quando la gente cercava di fuggire da un regime di paura e di spie.
La Laure ventenne aveva creduto di poter portare la sua ingenuità occidentale e la sua voglia di libertà in un mondo che ancora non era pronto e continua a pagarne le conseguenze nel presente, in una solitudine fatta di rimpianti/rimorsi per ciò che fu.
E a noi rimane Tomas e il suo "On arrive".

Un romanzo dunque tormentato, con pagine introspettive e intimiste, con una storia o più storie d'amore in sottofondo, e tanta Storia.

Ecco, questa è il primo degli aspetti che non mi hanno permesso di amare del tutto questo libro: le disquisizioni storiche. L'abilità di ricreare l'ambientazione di un'epoca sta a mio parere nel farla trasparire da descrizioni, dialoghi, azioni dei personaggi. La Buchan ci riesce bene per la parte di Praga, mentre farcisce i pochi capitoli dedicati a Berlino e poi la parte della Praga post-regime di spiegazioni didascaliche. La caduta del Muro, le conseguenze vengono raccontate nei dialoghi, ma non in modo naturale, proprio come se gli stessi si mettessero a citare nozioni manualistiche. 
La stessa autrice cita i volumi su cui si è documentata e l'impressione è che spesso abbia riportato/riassunto quanto ha studiato.
Un vero peccato, perchè quella parte appesantisce un libro altrimenti ben strutturato.
Sempre la parte di Berlino, poi, presenta un curioso cambio di prospettiva, facendoci vedere la storia dalla parte di Peter, di cui non ho capito il senso.

Per il resto, un libro che merita la lettura, anche solo per aver ricordato ancora una volta cosa subirono milioni di persone a causa dell'ideale comunista e dell'oppressione sovietica, che ancora oggi la sinistra "moderna" tende spesso a sminuire, come se si parlasse di parenti alla lontana ormai rimossi. 
Esemplare in questo senso la madre di Peter, fervente sostenitrice del regime, che giustifica ogni atrocità (esecuzioni sommarie, torture, liste di proscrizione) che viene perpetrata contro dissidenti e giovani che chiedono soltanto libertà e qualche bene "occidentale" con la pallida motivazione che "il nazismo comunque fu peggio".


Aveva bisogno di abbracciare qualcuno – un bambino, un amante –, sentirlo e fare in modo di essere sentita. Stringere a sé una persona, essere stretti in un abbraccio, era la dimostrazione che si era vivi. Si era sentita una cosa muta e fredda per troppo tempo.



Amarilli

2 commenti:

  1. Risposte
    1. All'inizio io mi ero innamorata della cover, poi però anche la storia ha il suo fascino.

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