Pensieri su "Ereditare guai" di Suzanne Enoch
Emmeline ama sopra ogni cosa Winnover Hall, dove è cresciuta, che però appartiene al nonno, il duca di Welshire. La tenuta è destinata alla prima delle nipoti che convolerà a nozze e gli darà un erede entro cinque anni. Emmie sposa allora in fretta e furia il suo migliore amico, Will, per poter restare a Winnover Hall. Peccato che all’improvviso, otto anni dopo, il nonno chieda di vedere i loro bambini. Bambini che non esistono: Emmie se li è inventati all’insaputa di tutti, anche di Will. La soluzione? Prendere in prestito due orfani e cercare di farne due credibili figlioletti in poche settimane. Ma in mezzo al caos di quest’impresa disperata, sboccerà un nuovo e sorprendente sentimento…
Titolo: "Ereditare guai"
Titolo originale: Something in the Heir
Autrice: Suzanne Enoch
Editore: Mondadori
Collana: I Romanzi - Classic 1292
Ambientazione: Inghilterra, 1800
Ambientazione: Inghilterra, 1800
Uscita: maggio 2025
Credevo fosse un volume di serie, invece è un volume unico (caso oramai abbastanza raro nel genere HR). Inoltre, la Enoch scrive con mano esperta, per cui è riuscita a sviluppare una vicenda completa, dall'antefatto al gran finale.
Ho trovato alcuni aspetti adorabili, mentre altri mi hanno lasciato maggiori perplessità, soprattutto l'antefatto: per fare finta di aver rispettato i termini di un lascito familiare (e fregare altri parenti che, invece, vi hanno adempiuto di fatto...), l'astuta Emmeline pensa bene di sposarsi in velocità e poi di imbastire una struttura complessa di bugie (a fin di bene), facendo intendere un matrimonio felice e allietato da ben due pargoletti.
Il problema è che, dopo anni, si trova costretta a supportare il grande inganno, chiedendo aiuto (di nuovo) al poveraccio che la sta sostenendo da sempre, ovvero il marito.
Dico subito che Emmeline non è la mia eroina-tipo.
Sarà anche creativa e piena di fantasia, ma trovo surreale che per otto anni non abbia mai dovuto far vedere i presunti bimbi a nonni o zii, per otto infiniti anni abbia usato il marito come un accessorio di moda (d'accordo, lui ha fatto carriera grazie alla sua dote, ma, a quei tempi, un po' tutti miravano a sposare un'ereditiera per sfruttarne la dote: non ci voleva chissà che genio!), senza accorgersi del suo amore sincero, e per otto lunghissimi, infiniti anni, abbia fatto... il nulla. Ovvero, starsene nella magione, difendendola con i denti, e passando il tempo ad ammirare il parco e i pesciolini nel lago, e annotando sulla sua agenda le istruzioni impartite alla governante e alle truppe di servitori.
Giustamente, la Enoch ci risparmia il racconto degli otto anni, ma risulta noioso soltanto a pensarci.
Viceversa, la storia si colora di luce e sole nel momento in cui entrano in scena i due piccoletti, due adulti disillusi/delusi/scafati in un corpo da bambini. Che smascherano subito la
vulnerabilità di mamma e papà, mirando anche loro al proprio tornaconto.
E fanno bene, direi. Dopo tutto, a parte il dolce Will (che si sente papà da subito), chi vorrebbe una madre che per è sempre vissuta da sola, e avrebbe pure voluto continuare a farlo; che avrebbe dovuto contribuire all'istituto, ma non si è mai presa la briga di vedere come fossero trattati gli ospiti, che non è mai stata attraversata dall'idea di prendersi cura (nella sua infinita ricchezza che non si è guadagnata) di almeno un orfano, e che, poi, si rassegna a prenderne in casa solo come contropartita di beni materiali?
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