Segnalazione per "Un amore all'ombra dei Ciliegi in Fiore" di Marianna Di Nardo

È uscito da pochi giorni un romanzo storico italiano, dalla penna di Marianna di Nardo.
Qui trovate tutte le informazioni e un estratto dalla prefazione del libro.




Autrice: Marianna Di Nardo
Titolo: "Un amore all' ombra dei Ciliegi in Fiore" 
Editore: You Can Print 
Pagine :172 Uscita: 16 Aprile 
Genere: Fiction Romantico storico 
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La storia parte da Giugliano, un paese a Nord di Napoli, e coinvolge due modeste famiglie che lottano contro la miseria con dignità e al tempo stesso con rassegnazione e resilienza. Vito, il padre di Maria, desiderava per la figlia un buon matrimonio e quando arriva la proposta di Vincenzo, umile contadino, non ragiona più. Il ragazzo per far fortuna e poter sposare Maria decide di partire per la capitale... È una commedia nella tragedia, perché è ambientato nel 1656, nel drammatico periodo storico che vide il Regno di Napoli in ginocchio soprattutto a causa della peste. Il romanzo è fedele al tempo per gli eventi, ma è soprattutto un' opera in cui creatività e fantasia hanno fatto da sfondo per supportare l' intera narrazione. 
È una storia d' amore, di perdono, di presa di coscienza e del destino di rassegnazione e di attesa che accomuna le donne e che segna la vita di Filomena. Si affronta il tema della perdita, del superamento del dolore mettendo in luce la capacità dell' uomo di condividere le proprie sofferenze e di superarle attraverso la solidarietà e l' amore.


Un estratto dalla prefazione a cura del Prof. Ferruccio Masci

Siamo nel 1655 a Giugliano, un centro agricolo a nord di Napoli, dove due famiglie che vivono una a fianco dell’altra nella semplicità di una quotidianità faticosa che si fonda sulla solidarietà del mondo contadino, con le sue regole feroci quanto umane, trascorrono la loro esistenza. Marianna Di Nardo sembra aggirarsi non vista tra gli abitanti del borgo, li osserva, ne condivide le più intime emozioni, ne fa tesoro per raccontarle al lettore che, inesorabilmente, si scopre esso stesso a palpitare per gli amori e le sofferenze di personaggi tanto elementari da risultare archetipici. 

Anche lo stile della prosa di Marianna Di Nardo si sagoma plastico alle vicende che riporta, figlio di un evidente amore per una terra meravigliosa e passionale che va scoperta un poco alla volta così come l’autrice consente al lettore. Con questi modi incede la vicenda: sembra di assistere alla realizzazione di un affresco, la stesura del fondo, che rimanda a un contesto storico preciso e documentato, è realizzata con coloriture ampie e spesse, il lettore non può che sentirsi collocato in medias res, come i protagonisti del romanzo avverte lontano, eppure fin troppo presente, il potere del governo spagnolo, le disposizioni di legislatori che non si alzano il mattino presto per andare ai campi, che non conoscono la sofferenza di mense esigue, che osservano distratti lo scorrere di vite umili e semplici ma capaci di sentimenti di un’intensità sconvolgente. 

In un tale contesto, che non invade la narrazione ma la contestualizza con essenziale efficacia, con brevi tratti, quasi in una sorta di promiscuità eclettica, il narrare di Marianna Di Nardo sembra utilizzare i più moderni tratti bozzettistici raggiungendo, proprio grazie all’essenzialità del lessico, un tratteggio dei personaggi di una modernissima efficacia dai lineamenti esistenzialistici. Gli attori, che si scoprono gettati in un mondo che non possono cambiare e che imparano a riconoscere come proprio, vengono presentati senza perifrasi, i loro gesti, il modo di relazionarsi, i dialoghi famigliari e amorosi, la preparazione dei pasti, i ritmi quotidiani e quelli più vari dei brevi momenti di festa, insomma, tutto l’universo di vita che è il grande protagonista della narrazione, si svela alla vista e all’anima del lettore che, senza nemmeno rendersene conto, impara a riscoprire i tempi della campagna e quelli di una vita non ancora compromessa da ritmi e ragioni troppo distanti dall’essenza così intima di uomo e natura. 

La prosa dell’autrice, deliberatamente semplice tanto da essere speculare al lessico e alle emozioni dei popolani che racconta, è in realtà un’intelligente attualizzazione del linguaggio verghiano che esperisce il concetto eliotiano di “correlativo oggettivo” tanto che le cose, la concatenazione degli eventi, ma anche forse e soprattutto gli odori, i sapori, i suoni della vita di Giuseppina e Vito, di Maria e Vincenzo fino a quelli così intensamente giovani di Filomena e Tommasino, divengono i colori dell’affresco complessivo al quale accennavamo poco sopra. Chi legge si scopre osservatore interno della vicenda comprendendo il mondo interiore, primitivo ma non per questo meno affascinante, dei vari personaggi che, con sottile abilità tecnica e delicata sensibilità psicologica, la scrittrice lascia lentamente fuoriuscire dal fondo storico e sociale dell’intero romanzo.

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