Pensieri e riflessioni su "Tra amici" di Amos Oz

Titolo: Tra amici
Autore: Amos Oz
Editore: Feltrinelli
Collana: I Narratori
ISBN: 8807018993
ISBN-13: 9788807018992
Pagine: 133

Sinossi:
Con poche pennellate precise, Amos Oz ricrea il microcosmo di un kibbutz israeliano negli anni cinquanta. Dal giardiniere timido e solitario che ha la passione di dare brutte notizie alla donna lasciata dal marito per un'altra che le vive praticamente accanto; dal mite elettricista che, con sbigottita discrezione, non riesce a capacitarsi dell'amore della figlia diciottenne per il suo insegnante di storia al falegname pettegolo che, in preda all'ira, si accanisce su un bambino per dare una lezione a chi ha maltrattato suo figlio; dalle tentazioni sensuali del segretario del kibbutz durante la sua ronda notturna allo struggente racconto agrodolce degli ultimi giorni di un calzolaio anarchico, appassionato di esperanto e del futuro dell'umanità. Infine, due scelte opposte di fronte al dilemma tra andare e stare: quella di Moshe, che confrontandosi con il padre malato in ospedale finisce per riconoscersi in tutto e per tutto membro del kibbutz, e quella di Yotam, che invece dentro il kibbutz soffre e vorrebbe andare a studiare in Italia, dallo zio che lì ha fatto fortuna. Un affresco popolato di personaggi che ritornano di storia in storia e che devono la loro forza a un'intensa, luminosa umanità.

Il pensiero di Annachiara:

Ho sempre avuto un interesse particolare per i kibbutz, per il contesto nel quale sono nati e si sono sviluppati ma soprattutto per cosa rappresentano, per quel tentativo tanto utopico e idealista da non poter non essere ammirato, quanto a tratti inverosimile, di applicare quasi integralmente uno stile di vita comunista.
Pur non avendo mai cercato letture mirate, sono sempre stata attratta da opere di narrativa che avessero come sfondo o come protagonista questa particolare forma di vita associativa.

Tra amici è l’ultimo libro di Amos Oz, pubblicato da Feltrinelli nel 2012, e rientra a pieno titolo in questo filone. Lo scrittore utilizza infatti otto racconti per narrare la vita nel kibbutz Yekhat negli anni ’50. E lo fa, possiamo dire, con cognizione di causa, avendo lui stesso vissuto per anni in una di queste comunità.

Ne viene fuori un affresco che riesce sorprendentemente a raggiungere il suo scopo descrittivo in maniera particolare. Gli otto racconti, come tante pennellate, danno insieme una visione generale di cos'era, com'era vivere lì. Otto racconti che non affrontano le questioni direttamente ma obliquamente, attraverso le parole e le azioni dei personaggi e senza interventi diretti del narratore che sarebbero, in questo caso più che mai, oltremodo molesti. Otto racconti dai quali emerge l'intero kibbutz con le sue correnti di pensiero, i suoi momenti e i sentimenti della sua popolazione.

“Tutti sono compagni, ma ben pochi sono amici veri.”

I protagonisti e i comprimari di ogni racconto sono resi nella loro umanità di persone, ciascuno con le proprie forze e le proprie debolezze, e al contempo come ingranaggi e parti del tutto e anzi, spesso sono sorpresi proprio in quel momento in cui la loro parte più privata viene a scontrarsi con la loro partecipazione pubblica al kibbutz e con quello che essa comporta.
E, spesso, ciò che emerge è un quadro desolante: la descrizione di un fallimento umano prima che politico, dell’impossibilità di mettere in pratica, nella realtà, i bei principi che sono, sulla carta, alla base del kibbutz.

“[…]ha pensato che quasi tutti hanno bisogno di più calore e più affetto di quanto gli altri sono capaci di dare, e che questo scarto fra richiesta e offerta non ci sarà mai nessun comitato del kibbutz che riuscirà a colmarlo.”

Questa rivelazione, che emerge tra le righe e si manifesta pian piano tra un racconto e un altro, è sicuramente la cosa più importante di tutto il libro, il concetto per cui vale la pena affrontarne la lettura. Arrivati in fondo, ci si rende conto di aver letto la storia di un fallimento e di aver ben chiaro in mente cos’è che non funziona, che non potrà mai funzionare.

L’intensità narrativa che Oz dedica alla descrizione dei personaggi è supportata da uno stile essenziale, in qualche caso quasi “trasparente”, per cercare di dare più risalto possibile a ciò che accade e di non coprire i sentimenti con troppe parole inutili.
Le stesse storie narrate sono semplici, "vere" nel senso più profondo del termine.

In conclusione, non è una lettura eccezionale ma sicuramente molto piacevole e, soprattutto, può insegnare qualcosa sugli esseri umani, prima ancora che sulle forme di associazione sociali e politiche.
Annachiara

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