Pensieri e riflessioni su "I mille autunni di Jacob de Zoet" di David Mitchell

Titolo: I mille autunni di Jacob de Zoet
Autore: David Mitchell 
Editore: Frassinelli
Collana: Narrativa 
Pagine: 586
ISBN: 9788820049270

Sinossi:
È il 1799 e Jacob de Zoet è un povero apprendista di bottega, e per ottenere la mano di Anna, la figlia del padrone, dovrà accumulare una piccola fortuna. Così, parte con un importante incarico della Compagnia delle Indie Orientali per l'isola di Dejima, unico punto di contatto con il Giappone. Cinque anni deve durare il mandato, poi potrà tornare, con la sua dote, per sposare la fidanzata. Quando Jacob arriva a destinazione si trova in un mondo nuovo che lo affascina subito: la piccola isola artificiale è selvaggia e dolce al contempo. Jacob ne è attratto immediatamente, ma d'altro canto deve presto scontrarsi con i maneggi dell'amministrazione che lo ha preceduto: da funzionario serio e onesto, comincia a lavorare sui libri contabili, affronta trattative commerciali con le autorità locali, conosce le personalità del luogo. E in particolare si lega al dottor Marinus, medico e scienziato autoesiliatosi nell'isola. Tra gli allievi della sua scuola di medicina, spicca per talento e vocazione Aibagawa Orito, una giovane levatrice. L'imbattersi in questa delicata creatura, segnata da una misteriosa cicatrice sul volto, e innamorarsene perdutamente è per de Zoet un tutt'uno. Ma è anche il primo, fatidico passo verso l'oscuro destino che lo attende in un'intricata vicenda d'amore e morte, incontri fatali, tradimenti, delitti, amicizie, sullo sfondo di un Oriente dai contorni sfuggenti e inaccessibili. 

Il pensiero di Annachiara: 
David Mitchell è un narratore straordinario, un autore raro che riesce a costruire bei romanzi e a coinvolgere sempre il lettore nella narrazione, non importa quale sia il tema trattato.

In Italia i suoi libri, pubblicati tutti da Frassinelli, sono passati per anni sotto silenzio, fin quando l’annuncio della prossima uscita del film tratto dal suo romanzo più riuscito, L’atlante delle nuvole, non ha risvegliato l’attenzione sulla sua intera opera composta, per ora, da cinque romanzi.

I mille autunni di Jacob de Zoet è il suo ultimo lavoro, uscito nel 2010. 

Protagonista del libro è appunto Jacob de Zoet, funzionario olandese che nel 1799, al seguito della Compagnia olandese delle Indie orientali, arriva a Dejima, porto di Nagasaki e unico avamposto occidentale in Giappone, in cerca di fortuna. Qui troverà una realtà molto distante da quella alla quale è abituato e il suo destino si incrocerà con quello di moltissimi altri, europei e giapponesi. Ragazzo onesto e integerrimo, al limite dell’ingenuità, Jacob cercherà di rimanere fedele alla sua coscienza in tutte le situazioni che dovrà affrontare, trovandosi a compiere scelte difficili e dolorose che lo porteranno lontano dalla persona che sperava di diventare.

"Con quale allegria [...] la vita manda in frantumi i nostri ben congegnati piani."

Per innamorarmi di questo libro, mi è bastato leggere il primo capitolo. La bravura che possiede Mitchell nel descrivere situazioni disperate e nello scioglierle con nonchalance è più unica che rara. Nonostante questo sia un romanzo malinconico e piuttosto lontano dagli entusiasmi che poteva suscitare L’atlante delle nuvole, resta annidato, da qualche parte tra le pagine, un certo ottimismo di fondo che non viene mai meno, che incoraggia quasi la speranza e, anzi, la certezza che “andrà tutto bene”. Ed il primo capitolo può quasi essere considerato un riassunto “spirituale” di tutto il libro: la dinamica della storia sarà la stessa. L’inizio è insomma coinvolgente e positivo, forse addirittura di più del resto del libro, a voler essere onesti.

Il romanzo, è bene specificarlo, non è un romanzo di avventura. Vi sono, qui e là, pagine punteggiate d’azione ma rimane, per la maggior parte, un libro di “strategia”, di dialoghi, di situazioni sottili e giochi mentali. Tuttavia non ci si annoia neanche per una pagina. Si viene continuamente trascinati avanti nella narrazione: dalle scene più ordinarie a quelle chiave per la storia è sempre un piacere proseguire la lettura. 

Questo effetto è stato senza dubbio aiutato dalla scelta di non dedicare minuziose descrizioni all’ambientazione. 

"Il mistero è la difesa più estrema del Giappone. Il Paese non vuole essere capito."

È stata una scelta che inizialmente mi ha spiazzata perché, trattandosi di un romanzo con un’ambientazione distante sia storicamente che geograficamente, mi aspettavo fiumi di inchiostro destinati a disegnare l’atmosfera e ad immergere il lettore nel Giappone ottocentesco e invece queste pagine sono assenti.

Magicamente, però, si viene pian piano comunque avvolti dalle strade, i suoni, colori e profumi così distanti e particolari. Non c’è bisogno di pagine dedicate; bastano poche semplici pennellate inserite tra un dialogo ed un altro per donare spessore e veridicità al mondo. 

Tanto più che tutti i particolari sono ben curati: nessuno strafalcione storico, nessuna vicenda alterata a favore della trama; la storia in questo romanzo si armonizza perfettamente con la Storia del Giappone e dell’Europa.

Purtroppo, nonostante l’incontestabile bellezza del libro e la maestria del suo autore, qualche difetto è presente.

Il più grande, difficilmente ignorabile, è la disomogeneità che intercorre tra le tre parti di cui si compone la narrazione. Nonostante la vicenda sia unica, i personaggi gli stessi e l’ambientazione quasi statica, le tre sezioni costituiscono tre storie separate abbastanza nettamente. 

In particolare, la seconda parte è proprio una storia nella storia, con protagonisti diversi e diverso tono. È la parte più coinvolgente, quella nella quale è presente l’azione, quella che fa battere il cuore. Non è esagerato affermare che, dopo averla letta, il resto del libro perde un po’ di smalto nel confronto e l’entusiasmo viene ridimensionato. Purtroppo, questa seconda parte non trova una conclusione “diretta”. Per avere un epilogo, infatti, bisogna aspettare la fine del romanzo, dove però la vicenda narrata nella seconda parte viene risolta indirettamente, senza cioè che si abbiano delle pagine espressamente dedicate. Questo mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca.

Inoltre, il finale è un altro punto dolente. Proprio verso l’inizio di questa recensione ho scritto che nessuno scrive Happy Endings come David Mitchell ed è vero. 

Questo finale però, mi duole ammetterlo, sa di strafalcione. Dopo quattrocento pagine sapientemente in bilico tra l’ottimismo e il pessimismo, dove le cose buone vengono karmicamente bilanciate con quelle cattive, ecco che tutto si sbilancia verso il positivo. Da una pagina all’altra le cose iniziano ad andare meravigliosamente bene, quasi senza un motivo. Dato l’entusiasmo che suscita, però, questa improvvisa inversione di tendenza si sarebbe anche potuta perdonare, se non fosse che, nell’epilogo, questo entusiasmo si sgonfia. Così com’era arrivato abbandona la narrazione, lasciando i personaggi e soprattutto i lettori a fare i conti con la realtà e con il modo in cui vanno veramente le cose. Il finale che ci viene regalato è profondamente malinconico, nonostante rientri comunque nella categoria dei “finali felici”.

Nonostante ciò, e tirando le conclusioni, direi che è stata una lettura decisamente positiva (ce ne fossero, in giro, di libri del genere!!) e decisamente consigliata a chiunque abbia voglia di un romanzo trascinante ma denso di concetti e contenuti.
Annachiara

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