Pensieri su "I custodi del libro" di Geraldine Brooks
È la primavera del 1996 a Sarajevo e Hanna Heath, trentenne restauratrice australiana di manoscritti e libri antichi, giunge nella capitale bosniaca devastata da cinque anni di guerra civile e ancora sotto il fuoco dei cecchini. Deve restaurare la Haggadah di Sarajevo, un manoscritto ebraico prodotto in Spagna in età medievale e ricco di inusuali e variopinte miniature; un'opera preziosa e fondamentale nella storia dell'ebraismo, che fu salvata dal bibliotecario musulmano del Museo di Sarajevo quando, negli anni Quaranta, i nazisti e i famigerati reparti della Mano Nera cercarono di impadronirsene.
È dalla voce di Hanna che apprendiamo la magnifica storia del libro, una vicenda fatta di macchie di vino e di sangue, di splendidi fermagli smarriti, di farfalle di montagna, di storie d'amore e di vigliaccheria, di secoli di splendore e di decadenza, di gloriose città, la Siviglia del 1480, la Tarragona del 1492, la Venezia del 1609, la Vienna del 1894, e di uomini giusti.
Titolo: I custodi del libro
Autore: Geraldine Brooks Traduttore: Massimo Ortelio
Editore: Neri Pozza - BEAT
Pagine 416
Uscita: luglio 2022
Della stessa autrice ho recensito "ANNUS MIRABILIS":
Dopo "Annus Mirabilis", ho pensato di accostarmi a questo vecchio titolo di Geraldine Brooks, dedicato, pur in modo romanzato, al percorso storico che ha avuto nei secoli l'Haggadah di Sarajevo, un'opera realmente esistente che è riuscita a resistere dal 1350 circa, nonostante le continue persecuzioni subite dai suoi possessori (ed è ancor oggi conservata a Sarajevo).
Per tradizione, le famiglie ebraiche leggevano il "Libro" (perché comunque la Bibbia resta il Libro dei Libri) al Seder di Pasqua ed era quindi naturale ritrovare tra le pagine macchie di vino, persino insetti o altre tracce in grado di descrivere le epoche che i volumi ereditati attraversavano, sempre custoditi e sempre protetti con devozione.
L'edizione protagonista del romanzo è peraltro particolare, perché è illustrata con miniature in rame e oro con immagini bibliche e sulla famiglia dei committenti, a differenza di edizioni più spartane e non così riccamente illustrate.
Nel 1996, a ridosso della guerra in Bosnia, a Sarajevo giunge un'esperta australiana per restaurare il volume appena salvato dai bombardamenti. Mentre lo analizza, Hanna scopre tante curiosità, collegate a loro volta ad altrettante esistenze.
E mentre lei, ai giorni nostri, apprende di più sulle proprie tradizioni di sangue, il lettore viene trasportato a Siviglia, quando le miniature vengono ideate, a Taragona nel 1492, quando vi è la grande cacciata degli Ebrei dalla Spagna, nella Venezia del 1600, con gli Ebrei rinchiusi nel Ghetto e l'Inquisizione che porta avanti la sua furia distruttrice di opere e uomini, fino alla Vienna di fine ottocento, alle persecuzioni naziste, alla fondazione di Israele e ai conflitti moderni nella Jugoslavia di fine millennio.
Ovunque troviamo morte e fiamme, ma anche una flebile speranza, come può essere un individuo sopravvissuto salvato da sconosciuti, e un libro che viene affidato alla cura di custodi volenterosi, anche di fedi diverse.
La Brooks si muove tra orrori, narrazioni delicate e fatalismo, con un ritmo non sempre uniforme; se sono belle alcune parti dedicate alle storie collettive dietro al libro, è meno convincente la maturazione di Hanna, lenta e a tratti persino noiosa, come sono talora debordanti certe digressioni scientifiche che sfociano in infodump.
Anche lo stile non mi è piaciuto del tutto, ci sono lunghe parti "raccontate" e piuttosto ininfluenti (con tentazione di passare oltre), per cui il mio giudizio è medio.
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