Pensieri su "Lezioni di chimica" di Bonnie Garmus
La cucina è chimica e la chimica è vita. La capacità di cambiare tutto, compresi se stessi, comincia da qui. Elizabeth Zott è magnetica. Se entra in una stanza, state certi che non le staccherete gli occhi di dosso: perché è bella, e perché ha quel modo schietto di esprimere il proprio pensiero, che scende come una lama sulla superficie molle della morale comune. Siamo nel 1952, ed Elizabeth è una giovane chimica che lavora all’Hastings Research Institute in California, un ambiente ferocemente maschilista dove il suo innegabile talento viene per lo più messo a tacere, sabotato, o usato per il prestigio altrui. Malgrado le difficoltà, il coraggio di rivendicare diritti e successi non viene scalfito e spinge Elizabeth a perseverare. C’è solo un uomo che ammira la sua determinazione: è Calvin Evans, genio della chimica in odore di Nobel, con il quale nasce un sentimento puro in cui condivisione delle formule e attrazione fisica vanno di pari passo. Ma la vita, come la scienza, è soggetta a trasformazioni, e qualche anno dopo la tempra di Elizabeth, ora madre single, folgora un produttore televisivo che le affida la conduzione di Cena alle sei, un programma di cucina che nelle sue mani diventa un appuntamento quotidiano immancabile per il grande pubblico. Il suo approccio rivoluzionario ai fornelli, infarcito di digressioni scientifiche, non mira solo alla preparazione di stufati, ma anche ad aprire gli occhi all’universo femminile. "Lezioni di chimica" è la storia di una donna irresistibile, che cade e si rialza più volte; è l’avventura di un’esistenza che ribalta gli schemi e costruisce un nuovo percorso, nonostante tutto. Con Elizabeth Zott si ride e si piange. È lei a dettare il ritmo, a indicarci quando andare a testa alta e quando invece è impossibile. Quello che sembra dirci, alla fine di tutto, è di non fermarci mai.
Lezioni di chimica
Autrice: Bonnie Garmus
Editore: Rizzoli
Pagine 464
Uscita: 3 maggio 2022
Literary awards: British Book Award Nominee for Début Fiction (2023), Australian Book Industry Award (ABIA) for International Book (2023), Goodreads Choice Award for Debut Novel and Nominee for Historical Fiction (2022), Waterstones Debut Fiction Prize Nominee for Shortlist (2022)Ecco un altro romanzo che recupero sul finire dell'anno, dopo che mi era stato consigliato spesso e volentieri.
Premetto che venivo dalla Hazelwood, per cui ritenevo di trovarmi davanti a una #STEMgirl ante-litteram, dato che Elizabeth Zott è una chimica che lavora negli anni '50, in cui già fare altro che non la casalinga o la dattilografa (al massimo) era segno di stravaganza.
Per mia colpa, mi ero convinta di dover aspettarmi lo stesso piglio leggero.
Perciò, nel momento in cui mi sono ritrovata, invece, non solo a non sorridere, ma pure a farmi prendere da una forte malinconia, ho piantato il libro, perché non volevo essere triste anche per le letture in corso.
In effetti, l'ho ripreso e mollato due volte prima di concluderlo.
Mi è piaciuto? Sì e no.
Pur trovando tante cose riuscite e tanti risvolti originali e sorprendenti (alcune scene sono adorabili, altre fanno male per quanto sono realistiche e tragicamente vere), devo dire che ho un po' faticato a carburare all'inizio con lo stile della Garmus, a mio avviso spesso confuso e autoreferenziale.
Nel complesso, la vita di Elizabeth è raccontata a tratti in modo prolisso, a tratti in modo affrettato (mentre a me sarebbe piaciuto approfondire e sondare le sue emozioni in determinati contesti).
Ma, soprattutto, credo che l'origine del successo del libro, basato sull'idea di un'eroina femminista in un mondo rozzo-bigotto-maschile sia un po' un fraintendimento; ovvero, lei è grandiosa, determinata e libera, ma vive negli anni '50; poi ci sono stati gli anni '60 e interi decenni dove le condizioni delle donne e la loro percezione a livello di ambiente scientifico-accademico non sono per nulla migliorate. Se la Hazelwood, dopo settanta (signori, 70) anni, si lamenta che le ricercatrici donne sono considerate ancora una tacca sotto e che spesso e volentieri i premi Nobel si dimenticano dei contributi femminili alla squadra che vince, vuol dire che le esistenze alla Zott sono state - purtroppo - autentici buchi nell'acqua, totalmente dimenticati e privi di germogli, ovvero romanzi agrodolci "inventati" a uso e consumo delle lettrici superiori del nuovo millennio.
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